C'è un altro Natale di cui nessuno parla e che,
invece, dilaga sempre di più nel cuore e nelle famiglie di molti.
Questo "altro Natale" non è generato dalla crisi economica
e sociale che il nostro paese sta attraversando e non è neppure
l'esito di un'inevitabile patologia connessa al progresso della
società borghese, bensì è un qualcosa che ha a che fare con la
"natura" stessa dell'uomo che — in questo strano periodo
— viene "ad arte" esasperata.
Esiste infatti un Natale convenzionale, promosso dai
media e dalle mille tradizioni del nostro paese, un Natale fatto di
intimità, di affetti, di calore e di condivisione. Questo Natale è
spesso frutto di un'autoconvinzione collettiva che inizia con il
montaggio e l'accensione delle luminarie pubbliche, con gli alberi e
gli spot televisivi, con gli addobbi e — in qualche misura — pure
con gli usi suggestivi e grandi della Chiesa. Ma il "Natale
convenzionale" più si avvicinano i giorni cruciali della festa,
più cede il passo all'altro Natale, taciuto come un'onta
che non può affatto essere espressa, pena l'imbarazzo e l'evidente
responsabilità di un intero sistema.
Esso è iniziato con le cene di lavoro o di classe, con
le recite dei bimbi e i regali aziendali, con la prenotazione dei
ristoranti "per il 25" o la decisione di organizzare il
pranzo della festa in quella o quell'altra casa. Al principio queste
circostanze scivolano addosso, quasi fossero automatiche, suscitando
magari una lieve emozione o qualche amara nostalgia. Ma poi, quando
le vie si affollano di gente e le ferie si avvicinano, l'apparente
felicità degli altri appare improvvisamente insostenibile e tutto
sembra gridare l'attesa di Qualcosa che al nostro cuore terribilmente
manca, un'attesa che per dodici mesi riusciamo a tenere a bada, ma
che a Natale esplode e si trasforma in malinconia, in rabbia o in un
semplicissimo — ma drammatico — senso di vuoto e di solitudine:
la nostra vita non ci basta, forse non ci piace e un pianto — a
volte trattenuto, a volte espresso — deflagra dentro il nostro
cuore.
Tutto questo amore, tutta questa magia, tutta questa
gratitudine e questa speranza che respiriamo nell'aria vorremmo fosse
nostra, fosse per noi, ma sentiamo che in definitiva non lo è. Così
si riaprono le antiche e mai sepolte ferite, si riapre il ricordo di
chi non c'è più, la memoria dei nostri errori e l'intera esistenza
finisce per mostrarsi a noi come una crudeltà priva di significato.
È questo l'altro Natale di cui nessuno parla, quello
che in Occidente incrementa in percentuali significative le crisi di
ansia, i casi di depressione e i tentativi di suicidio, il Natale che
viene alimentato — volontariamente o involontariamente non si sa —
da coloro che promuovono il mito di una vita perfetta e compiuta, il
mito di un'esistenza magica priva di grandi problemi.
Questo Natale è la vera notizia di questi giorni, è
l'emergenza sociale che in vasta scala attraversa le nostre città, i
nostri paesi, il nostro stesso cuore: un clima artificiale ed epico
che esaspera la nostra natura umana che è fatta strutturalmente di
attesa, ma che al contrario — durante l'anno — noi identifichiamo
con la prestazione e il successo. A Natale il mondo cambia registro e
mette a nudo, con un'improvvisa sottile violenza, tutta la
sproporzione che il nostro cuore sperimenta tra quello che c'è e
quello che davvero aspettiamo. Ogni cosa acquista così il colore
della tristezza e il gusto di un'insopprimibile angoscia che ci
lascia terribilmente soli, a caccia di qualcosa — di qualunque cosa
(dal cibo alla sessualità, dalla trasgressione al moralismo) — che
possa far tacere anche per un solo istante questo nostro urlo, questa
tragica solitudine.
Non tutti viviamo il Natale così e, anzi, quando
qualcuno attorno a noi manifesta uno di questi sintomi viene
emarginato, biasimato, preso in giro o — più banalmente —
tacciato di "rovinare il Natale agli altri". Il fatto è
che quest'angoscia, giustificata poi in mille modi, aggredisce
seriamente l'Io ed è prodotta non dalla stravaganza di qualcuno, ma
dal nostro stesso mondo. Eppure la verità è che tutto questo non
esiste, che quella condanna ad una vita inutile e priva di amore che
il nostro cuore spesso teme è solo una suggestione indotta dalla
mente e dai "mercanti del consumo" che affollano i nostri
giorni, uno stato psichico che niente ha a che fare con quello che
davvero esiste e si muove attorno a noi.
Perché ciò che realmente c'è, a Natale come durante
l'anno, siamo noi e la nostra grandezza, sono le persone che amiamo e
che vorremmo amare, quelle che non ti aspetti ma che ti sorprendono e
i desideri umanissimi di una vita degna che vorrebbe soltanto essere
più vera, più abbracciata, più custodita. Per questo il Natale non
è quella fiera della manipolazione che abbiamo descritto, ma è
un'altra cosa: Natale, infatti, è Dio che ci manda Cristo, che ci fa
un regalo vero e decisivo, consapevole di quello che abbiamo
realmente bisogno. Egli non lo ha fatto con uno spot o con una
promozione, non lo ha fatto suscitando in noi sentimenti arbitrari o
illusioni senza prospettiva: lo ha fatto amandoci e donandosi. Ed è
così, per questo gesto di misericordia infinita, che è sorto il
Natale. Perché Qualcuno ci ha visti e non ha avuto paura di
attraversare tutto il Cielo per venirci semplicemente a prendere.
Desiderando solo che tutto il mondo potesse finalmente essere
consapevole di che razza di mancanza domini il cuore di ciascuno di
noi.
Solo se riusciremo a guardarci gli uni gli altri così
sarà possibile fermare la morte, il male che avanza e che conquista
la nostra anima, con l'efferata illusione che qualche luce o qualche
canto possa sul serio essere sufficiente ad abbracciare quel grido
che fa tremare il mondo e che ci rende, innanzitutto, uomini.
(da Il sussidiario)
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