(da Dialoghi Carmelitani un consiglio di lettura molto bello..)
LA GIOIA DI CREDERE DI ERIC EMMANUEL SCHMITTdi Cosetta Zanotti
Più
di due anni fa un’amica mi chiese un parere su di un libro intitolato:
Oscar e la dama in Rosa, di Eric Emmanuel Schmitt. La copertina era poco
invitante, così pensai di rimandare la lettura. Lo appoggiai sullo
scaffale dello studio e me ne dimenticai. Ogni tanto gli passavo
davanti, gli davo un’occhiata e pensavo: prima o poi ti leggerò, ma non
adesso, ho altro da fare! Non avevo calcolato che, anche se può suonare
strano, sono i libri a scegliere il proprio lettore e non viceversa.
Così un giorno spinta anche dalla necessità di dover dare un parere
all’amica, aprii di mala voglia il libro e lessi.
Quella fu la
prima volta che incontrai la scrittura di E. E. Schmitt. Fulminante! Un
amore a prima vista tra il libro e il suo lettore. Un pugno allo stomaco
che aveva scosso anche il cuore. E’ così che vorrei scrivere, pensai.
Mi procurai tutti i suoi libri e un anno e mezzo dopo mi trovavo a
Milano faccia a faccia con lui per un’intervista. Un uomo garbato e
sorridente che mi raccontò della sua scrittura, della sua conversione
avvenuta una notte di tanti anni fa nel deserto e del suo stretto legame
con i mistici. “Hanno ragione i grandi mistici a mettere in primo piano
la gioia, sostiene E. E. Schmitt, contrariamente a quanto alcuni
sospettano, non si crede per paura, ma per gioia. La gioia è
riconoscenza, è intelligenza del mistero!”
Nato
nel 1960, docente di filosofia, appassionato di musica classica,
scrittore e drammaturgo, in poco più di dieci anni E.E.Schmitt è
diventato uno degli autori francesi più letti e rappresentati in tutto
il mondo con opere che sono ormai un classico del repertorio
internazionale, amate da pubblico e critica in più di quaranta paesi.
Tra i suoi successi tradotti anche in Italia i quattro libri
sull’infanzia e la spiritualità: Milarepa, Monsieur Ibrahim e i fiori del corano, Oscar e la dama in rosa, Il bambino di Noè. Una carriera da romanziere tra cui: Il
visitatore, La parte dell’altro, Piccoli crimini coniugali, Quando ero
un opera d’arte, La mia storia con Mozart, Odette Toulemonde (tutti editi da E/O) e Il vangelo secondo Pilato (San Paolo).
RACCONTI AD OROLOGERIA (E.Schmitt) (Recensione)
Odette,
una donna apparentemente povera di tutto, ma felice. Balthazar, un uomo
che ha tutto, ma profondamente infelice e che chiederà proprio a lei di
impartirgli lezioni di felicità. Questi i due protagonisti di Odette
Toulemonde, uno degli otto racconti, che dà anche il titolo all’ultimo
libro di Eric Emmanuel Schmitt. Scritti con la solita semplicità alla
quale l’Autore ha abituato il suoi lettori e tutt’altro che banali, i
racconti hanno otto protagoniste femminili che attraversano vicende
esistenziali non propriamente “perfette”. Un fatto imprevedibile, ma
determinante irromperà nel quotidiano mutando improvvisamente il corso
di queste esistenze inesorabilmente avviate al fallimento. Si potrebbero
definire “racconti ad orologeria” che conservano all’interno una bomba
pronta ad esplodere e capace di ridonare vita a personaggi che parevano
ormai finiti. Ogni riga rivela una tensione che tiene vivo l’interesse
del lettore che, da un momento all’altro, attende l’affacciarsi
dell’imponderabile.
L’intenzione principale dell’Autore, non è il
giudizio morale sui personaggi o sulle situazioni che essi vivono. Tali
personaggi e situazioni potrebbero scandalizzare molti benpensanti
notoriamente poco propensi all’indulgenza e sempre pronti ad inorridire,
ad ergersi giudici del mondo, autorizzati ad escludere dalla felicità
tutti quelli che non ne sono reputati degni. Per essi, tanto per fare un
esempio, la Sonja di Delitto e castigo – splendida immagine della
carità di Cristo – non avrebbe mai dovuto essere una prostituta che, tra
l’altro, legge addirittura il Vangelo.
Schmitt sembra dirci che
occorre andare al cuore dello scritto, occorre elevarsi oltre al dato di
fatto, alla superficie delle parole. Solo così si rimane colpiti dalla
Speranza che, nonostante tutto, può schiudersi dentro un cuore nel quale
ci sarebbe spazio solo per uno sguardo pessimistico su di sé e sulla
realtà. Egli focalizza l’attenzione su otto anime angosciate perché non
sono in sintonia con ciò che veramente cercano e desiderano: la
felicità. Per comprendere basterebbe leggere soltanto l’emblematico
Odette Toulemonde, divenuto anche un film ( uscito in Italia con il
titolo Lezioni di Felicità con la regia dello stesso Schmitt) nel quale
emerge con chiarezza il progetto dell’Autore.
Schmitt riesce a
scuotere il lettore freddo che non si aspetta più nulla. Lo aveva bene
intuito Kafka che, nel 1904, scriveva all’amico Oskar Pollak:
“Bisognerebbe leggere, credo, soltanto libri che mordono e pungono. Se
il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno nel cranio, a che
serve leggerlo? Affinché ci renda felici, come scrivi tu? Dio mio,
felici saremmo anche se non avessimo libri, e i libri che ci rendono
felici potremmo eventualmente scriverli noi. Ma noi abbiamo bisogno di
libri che agiscano su di noi come una disgrazia che ci fa molto male,
come la morte di uno che ci era più caro di noi stessi, come se fossimo
respinti nei boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio, un libro
deve essere una scure per il mare gelato dentro di noi”.
Per
comprendere il messaggio dell’Autore occorre una lettura libera da
pregiudizi, una libertà di approccio al testo che ci chiede di
riflettere davanti alle situazioni della vita senza chiudere gli occhi
alla realtà. È illuminante a questo proposito ciò che affermava in
un’intervista del 2007 all’Osservatore Romano, Nadine Gordimer, Premio
Nobel per la letteratura nel 1991: “Io penso che lo scrittore debba
guardare alla situazione del luogo in cui vive, al suo tempo […]. Oltre
ad essere scrittori, oltre a essere narratori, nel contempo si è esseri
umani, nati in un certo luogo e in un dato tempo, parte di un Paese”. Se
ci si attendesse esclusivamente storie idilliache e piene di buon senso
non si potrebbe che rimanere delusi. Se si desiderasse che ogni
scrittore dicesse ciò che il lettore vorrebbe fosse detto non si
riuscirebbe mai a penetrare a fondo il percorso di colui che scrive. In
particolare, è necessario ricordare che lo stesso Schmitt ha vissuto
momenti simili a quello che accade nelle sue storie quando dall’ateismo
si è convertito al cristianesimo. La sua diviene così una scrittura
capace di coinvolgere il lettore perché ha precedentemente coinvolto e
mutato l’Autore; dove l’Autore si è messo interamente in gioco perché ha
soltanto quel modo per dire quanto deve dire, per esprimersi, quindi,
per dire se stesso; una scrittura che non sia mai asservita a una
ideologia, perché la letteratura è il terreno della ricerca.
Lo
sguardo sulla realtà offerto da Schmitt non è sospettoso né
moralizzatore, ma consapevole che la felicità è come un lampo che
illumina improvvisamente le tenebre. Le sue parole, in una recente
intervista pubblicata dal Messaggero di Sant’Antonio, curata da Cosetta
Zanotti, sciolgono ogni dubbio: “Sono otto racconti sulla Grazia e sulla
Redenzione. I protagonisti pensano che la vita non offrirà più a loro
vie d’uscita. Come se fossero già morti. In ognuno di questi racconti
accadrà invece qualcosa che farà riscoprire il peso delle cose, per
credere ancora, per vedere qualcosa di nuovo nel mistero dell’esistenza.
Vedranno la Grazia che viene e sorprende! Come se accendessimo una
lampadina in una stanza buia. Mi piace cercare la luce nelle tenebre:
quindi bisogna trovare l’interruttore. È questo il fulcro degli otto
racconti. Viviamo in un mondo schizofrenico: pensa da pessimista e vive
da ottimista; crede che la vita sia brutta e che tutto finisca con la
morte, che nulla abbia senso, che siamo solo un insieme di molecole in
movimento e materia in disgregazione. In un simile contesto bisogna fare
un esercizio di lucidità per trovare una visione coerente della vita»
La
Grazia: ecco il fil rouge di questi otto racconti. Una Grazia che
improvvisamente abbaglia, ma che lascia spazio alla libertà dei
protagonisti chiamati ad ulteriori scelte per ricostruire la propria
vita. Infatti, se li si legge con un minimo di attenzione è evidente che
la conclusione di ogni racconto non è il classico happy end. Ciò
permette al lettore di abbandonare schemi già precostituiti e di
accostarsi non superficialmente a testi capaci di far toccare degli
aspetti nascosti e in grado di suscitare delle domande nuove circa la
situazione dell’uomo. Sono percorsi spirituali che aprono il cuore alla
Grazia che si presenta nelle forme più varie spalancando delle porte che
introducono alla soglia del mistero. di P. Piero Rizza ocd
ERIC-EMMANUEL SCHMITT, Odette Toulemonde e altri racconti, ed. e/o, Roma 2007, pp. 176
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