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“Dopo Parigi”: satira, libertà di espressione e religioni
E se la storia dell’arte sull’immagine di Dio ci aiutasse a comprendere il rispetto reciproco?
di P. Ermanno Barucco ocd
Papa Francesco parla di libertà religiosa e di libertà di espressione: un’armonia possibile?
Durante il viaggio verso le Filippine,
dopo che papa Francesco aveva affermato in Sri Lanka che la libertà
religiosa è un diritto umano fondamentale, un giornalista francese gli
ha posto questa domanda: «Nel rispetto delle diverse religioni, fino a
che punto si può arrivare nella libertà di espressione, che pure è un
diritto umano fondamentale?».
Il papa ha subito detto che era chiaro
che avrebbe parlato dei fatti accaduti a Parigi pochi giorni prima, dal 7
al 9 gennaio. Così da una parte ha ribadito che «ognuno ha il diritto
di praticare la propria religione, senza offendere, liberamente»,
infatti, ha continuato, «non si può offendere, fare la guerra, uccidere
in nome della propria religione, cioè in nome di Dio», poiché ciò «è
un’aberrazione», dall’altra parte ha sottolineato che la libertà
d’espressione non solo è un diritto, ma è anche un obbligo, «l’obbligo
di dire quello che si pensa per aiutare il bene comune». Questa è la
finalità della libertà di espressione, e per questo non può essere usata
per offendere. L’offesa può provocare delle reazioni, che non devono
mai essere violente, ma reagire a delle offese, nel modo opportuno, «è
normale», come ad esempio quando qualcuno dicesse «una parolaccia contro
la mia mamma». Così pure, e a questo voleva arrivare papa Francesco,
«non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si
può prendere in giro la fede». Soprattutto quando l’atteggiamento di
fondo, secondo una mentalità post-positivista ereditata
dall’illuminismo, è quello di considerare la religione o le espressioni
religiose «una sorta di sottocultura, che sono tollerate, ma sono poca
cosa, non fanno parte della cultura illuminata». Così ne deriva che
«tanta gente sparla delle religioni, le prende in giro, diciamo
“giocattolizza” la religione degli altri, e così provoca». C’è quindi un
limite anche alla libertà di espressione, perché la religione «rispetta
la vita umana, la persona umana», mentre quelli che uccidono in nome di
Dio sono dei fanatici che tradiscono la propria religione. Ma la
religione, insiste papa Francesco, «non posso prenderla in giro. E
questo è un limite. Ho preso questo esempio del limite, per dire che
nella libertà di espressione ci sono limiti come quello della mia
mamma». Si tratta quindi del limite del non offendere nel dire
liberamente, cioè avendo come fine il bene comune.
“PrayersForParis”: i primi giorni dopo i tragici attentati di Parigi e una risposta a “Je suis Charlie”
Proviamo
a comprendere qual è la portata delle parole di papa Francesco nel
contesto dei fatti accaduti a Parigi. Le manifestazioni in favore di
Charlie Hebdo, soprattutto quella chiamata “Je suis Charlie” (Io sono
Charlie), rendono giustamente onore a vittime di attentati terroristici e
vogliono difendere la libertà di espressione, ma dobbiamo anche
chiederci: che tipo di libertà di espressione stiamo difendendo? Subito
dopo gli attentati era giusto mantenere un certo silenzio, onorare
coloro che sono morti ingiustamente, dire no ad ogni forma di violenza e
terrorismo. E anche il tweet del papa in quei giorni, “PrayersForParis”
(preghiere per Parigi), era espressione di un cuore orante vicino alle
vittime, senza dover per forza condividere quel “Je suis Charlie” (il
papa non l’ha fatto appunto) e un certo modo di fare satira, spesso
esercitata offendendo la religione, che sia quella musulmana, quella
cristiana o altre. Non era necessario spingersi a dire “Io non sono
Charlie”, come ha fatto Jean-Marie Le Pen in Francia: in quei giorni
bisognava tacere, e bastava dire “PrayersForParis”. Questo non avrebbe
significato che non ci fossero ragioni valide per non essere d’accordo
su certe vignette di Charlie Hebdo. Tuttavia non tacendo in certi
momenti “si passa dalla ragione al torto”, utilizzando espressioni che
possono offendere, cioè facendo proprio ciò che si rimprovera agli
altri.
Una settimana dopo: il tempo di una riflessione sul modo di fare satira
Le
parole di papa Francesco nell’intervista indicano però che è anche
venuto il tempo di fare una riflessione ulteriore, quella appunto sul
modo di intendere la libertà di espressione e in particolare la libertà
di espressione che utilizzano la satira o la caricatura. Basta aver
visto alcune delle decine di vignette di Charlie Hebdo che hanno
riempito i media in questi giorni per capire che a volte “si è passato
il limite”, mancando di rispetto ai valori culturali e religiosi degli
altri. Si sono offesi la religione e i credenti, si è offesa la Vergine
Maria, “la mia mamma”, e io credente non posso non reagire, nel modo
giusto e appropriato, senza violenza. Inoltre Charlie Hebdo è un
giornale che si rifà all’ideologia sessantottina e alla rivoluzione
sessuale (e infatti molte vignette sfiorano la pornografia). Questa
ideologia considera la religione come un prodotto sotto-culturale
dell’umanità, anzi, quello che essa conosce della religione non sono le
sue espressioni vere e profonde, ma proprio quelle che sono già delle
caricature perché delle forme distorte, come il pietismo farisaico o il
fondamentalismo terrorista. Se la vignetta vuole smascherare ciò che la
religione (e Dio) non è, allora aiuta a purificarla ed è al servizio
della religione, e quindi della società. Ma se va oltre e considera la
religione sempre e comunque sbagliata, la offende e non rispetta i suoi
valori.
Queste ultime riflessioni le possiamo ritrovare in un libro, La caricatura e il sacro. Islam, ebraismo e cristianesimo a confronto, scritte da un esperto di storia dell’arte religiosa, François Bœspflug. Il libro è stato pubblicato pochi mesi dopo le reazioni violente di diversi gruppi islamisti, nel febbraio 2006, alla pubblicazione sui giornali di tutto il mondo di alcune caricature di Maometto con una bomba nel turbante. Utilizzando parole simili a quelle del papa, l’autore affermava che «l’offesa non giustifica né la violenza né l’assassinio», altrimenti l’omicidio conferma paradossalmente la caricatura nel suo significato negativo, poiché «una bomba disegnata su un foglio di carta non ha lo stesso effetto di una bomba reale quando esplode. La peggior caricatura morale di Dio, la più irreligiosa, quella che veramente lo sfigura e non può mai essere giustificata, neppure dalle peggiori caricature di Dio, è uccidere l’uomo che è immagine di Dio».
Queste ultime riflessioni le possiamo ritrovare in un libro, La caricatura e il sacro. Islam, ebraismo e cristianesimo a confronto, scritte da un esperto di storia dell’arte religiosa, François Bœspflug. Il libro è stato pubblicato pochi mesi dopo le reazioni violente di diversi gruppi islamisti, nel febbraio 2006, alla pubblicazione sui giornali di tutto il mondo di alcune caricature di Maometto con una bomba nel turbante. Utilizzando parole simili a quelle del papa, l’autore affermava che «l’offesa non giustifica né la violenza né l’assassinio», altrimenti l’omicidio conferma paradossalmente la caricatura nel suo significato negativo, poiché «una bomba disegnata su un foglio di carta non ha lo stesso effetto di una bomba reale quando esplode. La peggior caricatura morale di Dio, la più irreligiosa, quella che veramente lo sfigura e non può mai essere giustificata, neppure dalle peggiori caricature di Dio, è uccidere l’uomo che è immagine di Dio».
Conoscere la storia della rappresentazione iconografica di Dio porta a rispettarla: la proposta dell’autocensura della satira
Quando
F. Bœspflug rilegge in senso positivo la caricatura come ciò che può
aiutare a purificare l’immagine che ci si è fatta di Dio (il quale non
è, con tutta evidenza, quella cosa che viene descritta!), dall’altro
afferma che non si può in nome della libertà di espressione dire tutto e
denigrare tutti. La proposta interessante del suo libro è che egli
scarta la possibilità di una “nuova polizia” dell’immagine e si richiama
all’autocensura, come già alcuni caricaturisti propongono.
L’autocensura non è il tradimento della «libertà di espressione»,
«assolutamente preziosa» e da rispettare, ma ne è paradossalmente la
vera realizzazione, in «un’educazione civica al ritegno» in vista di un
bene che è altrettanto prezioso: «la pace sociale» nel rispetto della
differenza (culturale, religiosa, etc.). Le autorità politiche e quelle
religiose, i giornalisti come gli addetti della cultura e dell’arte,
devono evitare la pericolosa trappola che può divenire “il potere
dell’immagine”. Per evitarla è necessario – conclude F. Bœspflug
indicando anche lo scopo principale del suo testo – prender coscienza (e
conoscenza) della storia della rappresentazione iconografica di Dio,
perché ciò porta a rispettarla. Il libro è infatti un’analisi
approfondita del rapporto tra immagine e sacro nelle tre religioni
monoteiste, ma ci sono spunti anche per comprendere il rapporto della
religione con l’umorismo e le caricature.
Offendere i valori e i simboli delle persone per ottenere un effetto benefico è un’illusione ideologica
A
partire da questi spunti possiamo trarre la nostra conclusione. Charlie
Hebdo è figlio di quell’ambiente culturale che a partire dall’epoca
moderna fa del Cristianesimo l’obiettivo preferito di un’ironia
esacerbata, in misura e in modo tale da non avere paragoni nella storia
(tranne un caso nella Grecia antica), in quanto si tratta di qualcuno
che denigra il “proprio” Dio, il Dio a cui fa riferimento il popolo di
cui si è parte, e non gli dei degli altri popoli! Negli ultimi anni
anche l’Ebraismo e l’Islam sono stati fortemente “attaccati” passando
ogni limite, ottenendo però lo scopo contrario a quello che Charlie
Hebdo dichiarava di voler suscitare con le vignette, cioè “provocare” la
reazione dei veri musulmani perché prendessero le distanze dai
terroristi. Facendo vignette che offendono i valori, anche culturali, e i
simboli della religione, Charlie Hebdo perde l’appoggio proprio di
quanti vuole attirare alla propria causa, poiché i veri credenti si
sentono offesi. Una cosa simile accadrebbe ai cittadini che vedessero
oltraggiata la propria bandiera nazionale! Non si possono offendere i
valori della gente e i simboli che li rappresentano considerando ciò una
semplice “provocazione” per ottenere un effetto benefico. È
un’illusione ideologica. E lo sarebbe stata anche se non fosse accaduto
nessun tragico epilogo.
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