Il film e le polemiche
Definito “politicamente scorretto“, “anti-islamico” ed “incitante all’odio“, il film “11 settembre 1683” è stato diretto da Renzo Martinelli e distribuito dalla 01 Distribution nel 2013.Di fronte alle numerosissime critiche ricevute, il registra ha replicato con chiarezza: “Ciò che voglio è restituire il giusto rilievo alla figura storica di Marco d’Aviano, frate taumaturgo e uomo di fede a cui si deve la riuscita degli sforzi diplomatici per formare la Lega Santa, voluta da papa Innocenzo XI, e la successiva vittoria sul campo di battaglia. Non un sacerdote guerrafondaio ma un dotto dalla grande sensibilità storica e politica. Se non ci fosse stato lui a compattare le fila cristiane, oggi forse l’Europa sarebbe assai diversa.
(…) Il mio film non è contro nessuno, è solo una carica suonata all’Occidente. Noi europei abbiamo smarrito le radici dei nostri valori. In 90.000 parole del testo della Costituzione Europea non c’è una sola volta la parola «cristiano». Da quel giudeo crocifisso è nato tutto: il Rinascimento, la parità tra uomo e donna, la libertà.”
Padre
Marco nacque ad Aviano (UD) il 17 novembre 1631. In età conveniente, i
genitori lo affidarono al collegio dei Gesuiti di Gorizia. Un giorno, al
rientro degli allievi da una passeggiata, mancò all’appello: era
fuggito per andare a convertire i Turchi! Dopo due giorni di cammino
batté sfinito alla porta dei Cappuccini di Capodistria, dove sentì la
chiamata di Dio. Il 21 novembre 1648 vestì l’abito nel noviziato di
Conegliano (TV). Ordinato sacerdote il 18 settembre 1655, fu
successivamente nominato superiore del convento di Belluno, poi di
quello di Oderzo (TV) e nel 1675 fu trasferito a Padova. Voleva
dedicarsi esclusivamente alla preghiera e alla contemplazione, ma i suoi
superiori lo richiamavano spesso per tenere le prediche in chiesa e per
realizzare le missioni popolari. Iniziò anche ad operare dei miracoli.
L’apostolo dell’Impero
La
sua fama di predicatore e di taumaturgo si diffuse non solo nel Veneto,
ma per tutta Europa. Dovunque si recasse a predicare, la sua presenza
era un avvenimento che attirava folle e sconvolgeva le popolazioni. Le
sue prediche erano solitamente accompagnate da eclatanti conversioni e
guarigioni miracolose. Sollecitato dai superiori, egli intraprese lunghi
viaggi all’estero nel corso dei quali strinse rapporti privati e
diplomatici con molti governanti.
Nel
1680 si recò nel Tirolo. Fu accolto trionfalmente a Innsbruck, dove il
duca Carlo V di Lorena venne personalmente a incontrarlo. Giuntogli
davanti, si gettò in ginocchio e non volle alzarsi prima di avergli
baciato i piedi. Più tardi volle fare con lui la confessione generale e
ricevere la comunione. Carlo V gli chiese anche una grazia personale:
essendosi fratturato la gamba destra in una caduta da cavallo, non
poteva camminare che con l’aiuto delle grucce. Appena ricevuta la
benedizioni di padre Marco, i dolori scomparvero e non ebbe più bisogno
di alcun sostegno. Il duca divenne suo figlio spirituale.
Da
Innsbruck proseguì per la Baviera, dove ricevette un’accoglienza non
meno trionfale da parte del duca reggente Massimiliano Filippo. In una
sola giornata, padre Marco compì ben 117 guarigioni miracolose,
diligentemente certificate da documenti che il duca stesso fece stendere
e pubblicare. Da Monaco si recò a Salisburgo, dove il principe
arcivescovo lo trattò quasi alla stregua di un messaggero celeste. La
cattedrale era troppo piccola per contenere le folle.
Scendendo
lungo il Danubio, padre Marco andò a Linz, dove lo ricevette con
rispetto e venerazione l’imperatore Leopoldo I. L’imperatrice volle
addirittura riceverlo in ginocchio. Vi si trattenne quindici giorni,
durante i quali s’instaurò tra Marco e Leopoldo un rapporto destinato ad
avere notevoli effetti sulla vita politica del tempo. L’imperatore
trovò nel frate cappuccino il proprio confidente e consigliere.
L’8
ottobre padre Marco era a Neuburg. Allo sbarco venne a riceverlo il
conte palatino Filippo Guglielmo con i sei figli e lo accompagnò
personalmente alla sua residenza, dove la consorte e le cinque figlie lo
ricevettero in ginocchio. Il giorno dopo, mentre predicava nella chiesa
di S. Pietro, una statua della Madonna cominciò a muoversi rivolgendo
il suo sguardo verso il pulpito. La notizia del miracolo si diffuse in
tutta la Germania, rincuorando i cattolici e gettando i protestanti
nello stupore.
L’apostolato
di padre Marco aveva, infatti, un forte impronta anti‑protestante.
Nelle sue prediche non mancava mai di rivolgere agli eretici ferventi
appelli perché ritornassero all’ovile. Le conversioni furono così
numerose che i capi protestanti dovettero proibire ai propri
correligionari di assistere alle prediche del cappuccino italiano.
La crociata contro i turchi
Dopo
trionfali viaggi per Paesi Bassi, Germania, Svizzera e Italia
settentrionale, le vicende del tempo ricondussero padre Marco in
Austria, dove fu accolto dall’Imperatore ormai diventato suo figlio
spirituale. Nei loro numerosi e lunghi colloqui, un tema ricorreva
costantemente: la minaccia turca. Dopo un periodo di decadenza, la
potenza musulmana si era risvegliata sotto l’egida del gran visir Kara
Mustafá e incombeva sull’Europa. Costui non nascondeva i suoi terribili
progetti: espugnare Vienna e Praga, spezzare le forze cristiane sul
Reno, e marciare su Roma per fare di San Pietro le scuderie del sultano
Maometto IV.
Papa
beato Innocenzo XI già da tempo tentava in tutti i modi di unire i
principi cristiani in una Lega Santa contro la mezzaluna. Gli unici
accorsi all’appello del Sommo Pontefice, però, erano la Polonia di Jan
III Sobieski ed alcuni stati germanici come la Baviera, la Renania e la
Sassonia. Il comando delle forze cristiane, che allora contavano 40.000
uomini, fu affidato a Carlo V di Lorena, cognato dell’Imperatore e
discepolo di padre Marco.
Nell’aprile
1683 un’armata turca di 150.000 uomini e trecento cannoni si mise in
marcia sotto il comando del sultano Maometto IV in persona e del suo
gran visir Kara Mustafá. L’Imperatore scrisse allora a padre Marco: “Il
nemico viene con una potenza e un sì numeroso esercito, che da cento
anni in qua non se n’era visto uno di simile”. Il 12 luglio le
avanguardie turche arrivarono ai dintorni di Vienna.
Cappellano dell’esercito imperiale
In
tali circostanze drammatiche, padre Marco d’Aviano fu convocato dal
Papa come cappellano dell’esercito imperiale. “Veramente è necessaria la
presenza di vostra paternità — scriveva il conte palatino Filippo
Guglielmo — perché prevedo che senza di essa non faremo niente”.
Effettivamente rivalità, ambizioni e interessi personali minacciavano di
rallentare, se non di impedire, qualsiasi azione militare da parte
cristiana. Fu qui che provvidenzialmente si inserì l’azione personale di
padre Marco. Nel consiglio di guerra del 5 settembre, egli riuscì ad
appianare tutte le divergenze. Il comando supremo fu conferito a Jan III
Sobieski.
L’8
settembre, festa della natività di Maria, prima di dar inizio alla
marcia verso Vienna, padre Marco volle preparare spiritualmente
l’esercito. Di fronte alle truppe schierate, a tutti i comandanti e al
fior fiore della nobiltà tedesca e polacca, celebrò la Santa Messa
servita dallo stesso Jan Sobieski. Il re di Polonia scrisse a sua
moglie: “Padre Marco ci ha rivolto un’esortazione straordinaria. Ci ha
domandato se avevamo fiducia in Dio; e alla nostra unanime risposta che
l’avevamo piena e intera, ci ha fatto ripetere con lui più volte: Gesù!
Maria! Gesù! Maria! Poi ci ha fatto recitare l’atto di dolore e ha
impartito la solenne benedizione papale”.
Dopo
la funzione padre Marco passò in rassegna tutto l’esercito con la croce
in mano, rivolgendo ai singoli corpi parole di fede e
d’incoraggiamento. La sera dell’11, alla vigilia della battaglia, egli
celebrò la Messa, poi tenne un breve e infiammato discorso, e alla fine,
da una posizione soprelevata, lesse a gran voce una preghiera da lui
stesso composta per impetrare l’assistenza divina sulle armi cristiane;
poi col suo crocifisso benedisse l’esercito.
All’alba
del 12 i cristiani si lanciarono all’attacco con un tale impeto, da
travolgere in poche ore le difese ottomane e costringere Kara Mustafá
alla ritirata. Durante la battaglia padre Marco non smise di andare di
schiera in schiera a rincuorare e a benedire i combattenti, spingendoli
sempre avanti contro i seguaci di Maometto. Ogni volta che vedeva i
turchi lanciarsi all’attacco, alzava verso di loro il crocifisso,
dicendo: “Ecco la croce del Signore, fuggite schiere avversarie!” La
vittoria dei cristiani fu totale.
Già
all’indomani della vittoria, padre Marco cominciò a incitare i capi
cristiani a continuare la crociata, riprendendo immediatamente i
combattimenti. A partire da quel momento divenne, nelle parole di un
prelato veneziano, “il braccio destro della Santa Lega”. Nel febbraio
1684 scrisse a Leopoldo I: “Sono dispostissimo a servire la vostra
maestà cesarea nell’armata con il sangue e con la vita”. Come cappellano
dell’esercito, padre Marco manteneva vivo fra i soldati l’ideale per il
quale combattevano: la loro non era una guerra qualsiasi, era una
crociata.
Egli
riuscì a vedere la sconfitta definitiva dell’Islam in Europa
partecipando, sempre in prima linea, alle battaglie di Budapest
(1684‑1686), Neuhäu‑sel (1685), Mohacz (1687) e Belgrado (1688), fino
alla pace di Karlowitz (1689). Il 25 luglio 1699 fu costretto a letto a
Vienna, ed il 13 agosto morì assistito dall’Imperatore. Dopo solenni
funerali, il suo corpo ebbe l’insigne favore di riposare nella cripta
dei Cappuccini di Vienna, a fianco dei resti mortali dei membri della
Famiglia Imperiale.
Il
suo processo canonico fu avviato da S. Pio X nel 1912. Motivi
prettamente ideologici (erano in molti a non voler esaltare un
personaggio così combattivo!) ne ritardarono, però, la conclusione fino
al 27 aprile 2003.
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