DICIASSETTEMILA
ABORTI EVITATI DAI CAV
Vivi,
semplicemente nati
grazie
a un gesto d’aiuto
LUCIA
BELLASPIGA
Hanno
un nome e un cognome.
Hanno
un viso, un carattere, una personalità. Hanno gli occhi neri o
azzurri, assomigliano alla mamma, hanno preso dal
padre, fanno i capricci, piangono la notte, giocano, balbettano le
prime parole. Sono diciassettemila e sono persone,
bambini in carne e ossa, tutti nati nel 2011. Dovevano essere morti,
invece sono vivi. Questa è la concreta realtà.
La notizia, una volta tanto, è buona e viene dal bilancio dei 320
Centri di Aiuto alla vita (Cav) sparsi in tutta Italia:
il 2011, fanno sapere, è stato un anno record, mai si era raggiunto
un numero così alto di bambini salvati, il quintuplo
rispetto soltanto a vent’anni fa.
Le
loro madri dovevano abortire, ma qualcosa o qualcuno ha cambiato il
corso della loro vicenda, una piccola variante,un
bivio, una svolta ha fatto sì che, ognuna in un modo diverso, siano
tutte e diciassettemila approdate a un Cav.
Donne
in difficoltà, oppure soltanto confuse, senza certezze, in cerca di
consiglio. Proprio quel consiglio che dovrebbero
ricevere – secondo la legge 194 – molto prima di accedere alla
sala operatoria per interrompere sul nascere la
vita di quel figlio. «Lo Stato, le Regioni e gli enti locali
promuovono tutte le iniziative necessarie» per evitare l’aborto,è
scritto, ma questo non avviene. Eppure la legge che chiamiamo
"sull’aborto" in realtà è finalizzata prima di tutto
(già nel titolo)
alla «tutela sociale della maternità». Diciassettemila bambini
sopravvissuti, anzi vivi, sono indiscutibilmente una buona notizia,
questa volta proprio non immaginiamo quale distinguo potrebbero
accampare gli oltranzisti della libertà di aborto per non
considerarla tale: nessuno ha costretto le loro mamme, hanno chiesto
aiuto e lo hanno ricevuto, riuscendo così a
trovare la forza e la determinazione per mettere al mondo il proprio
figlio. Si chiama prevenzione, e i numeri dati dal Movimento
per la Vita dicono che funziona. È inevitabile a questo punto
chiederci quanti esseri umani si sarebbero salvati se si fosse fatto
di più, se la legge 194 fosse stata davvero applicata, se ciò che
fanno volontariamente i
centri di Aiuto alla vita e
il Progetto Gemma (adozione di gestanti in difficoltà prima e dopo
la nascita del bimbo: ventimila gli aborti così evitati in meno di
vent’anni) fosse condiviso anche da chi ne ha il dovere
(consultori, servizi sociali, ecc.) per specifica
funzione. I diciasettemila fortunati che ce l’hanno fatta,
dicevamo, sono in media il quintuplo rispetto a vent’anni fa, e di
questo non possiamo che gioire, ma poi è quel "quintuplo"
che ci colpisce come un pugno nello stomaco, ricordandoci di
conseguenza la strage
silenziosa avvenuta in questi decenni, evitabile, prevenibile,
condannabile. «Non temo la cattiveria dei malvagi, temo il silenzio
dei giusti», scriveva Martin Luther King, e in questa storia, che
dal 1978 (anno di promulgazione della 194) ha fatto cinque milioni di
morti, di malvagi non ce ne sono, semmai di donne lasciate sole,
mentre di silenzi ce ne sono anche troppi.
«Non dobbiamo giudicare le donne: esse non sanno – diceva don
Oreste Benzi,, che dall’aborto ha salvato migliaia
di bambini –. I medici però dovrebbero far sì che ogni donna sia
consapevole di portare in grembo una vita,
dovrebbero farle vedere un’ecografia del bambino, perché sia
davvero consapevole della scelta che fa». «Esposi il
mio dubbio al ginecologo, gli chiesi se non stavamo uccidendo una
vita, mi rispose ridendo che era solo un grumo di cellule»,
ci ha raccontato Alessandra, giovane attrice romana, che da allora
non si dà pace. Una strage evitata,diciassettemila
persone salvate, sono una tale notizia che ci aspetteremmo di
trovarla oggi su tutte le prime pagine...
Ma
purtroppo ne dubitiamo. Di recente sulla prima pagina di uno dei
maggiori quotidiani abbiamo trovato invece un’invettiva
contro i medici obiettori di coscienza (peraltro ammessi dalla stessa
legge 194), per colpa dei quali in Italia sarebbe
quasi impossibile riuscire ad abortire... E sempre sullo stesso
giornale mesi fa avevamo letto un titolo allarmante:
«Quattrocento mamme ogni anno in Italia abbandonano il neonato». In
realtà era il contrario: sono quelle che, anziché
abortirlo, accettano quanto le norme ammettono, ovvero di lasciarlo
in ospedale, all’amore di un’altra famiglia.
Questione
di punti vista. O forse soltanto di obiettività.
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