Dall'immagine tesa
Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà, se resisto,
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà forse già viene
il suo bisbiglio.
Clemente Rebora, 1920
«Questa è l’originalità dell’uomo: l’attesa dell’infinito.
Occorre questa povertà per riconoscere quanto attendo e non ridurlo a immagini. Solo con uno sguardo così posso guardare tutto il mio bisogno, altrimenti mi spavento e lo riduco. La serietà dell’amore è la percezione del proprio bisogno senza limite. Non ho dei bisogni: sono questo bisogno, sono questa attesa senza confini, dell’infinito. Sono questo.
È solo uno che ha questa povertà può avere attaccamento pieno di stima e di pietà verso se stesso. Uno sguardo così, quando uno ce l’ha verso se stesso? Dove trovate uno sguardo così? Io non trovavo questo sguardo da nessuna altra parte. Dove potevo io incontrare uno sguardo in grado di abbracciare tutto il mio umano? Il punto di partenza non può essere immaginazione o deduzione. Il punto di partenza è qualcosa di reale perché chi non trova una cosa reale non si guarda così. Basta guardare noi stessi che cosa siamo quando non troviamo uno sguardo così».
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