Dante nel Paradiso, interrogato da San Pietro sulla fede, si sente chiedere: “Quella cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda, dimmi, donde ti venne?” Perché io potevo desiderare, bambino, di essere come mio papà? Perché presentivo, sapevo che mio papà sapeva le cose che nella via è importante sapere. Sapeva del bene e del male, della verità e della menzogna, della gioia e del dolore, della vita e della morte. Cioè senza discorsi e senza prediche mi introduceva ad un senso ultimamente positivo dell’esistenza, di tutti gli aspetti della vita. Era la testimonianza vivente di una Verità conosciuta. Se l’educazione, come dice don Giussani nel Rischio Educativo è “introduzione alla realtà totale, cioè alla realtà fino all’affermazione del suo significato”, bene mio papà faceva esattamente questo. E questo, mi pare, è proprio ciò che manca ai giovani oggi: sono cresciuti senza che venisse loro offerta questa “ipotesi esplicativa della realtà” e perciò paurosi, trovandosi di fronte a tutto perennemente indecisi, e tristi, e perciò così spesso violenti. Perché, lo sappiamo bene noi adulti: non si può rimanere a lungo tristi senza diventare cattivi. Ma rendiamoci conto che la tristezza dei figli è figlia della nostra, la loro noia è figlia della nostra. Ecco, mio padre, lo dico volutamente con un paradosso, ci ha educati perché non aveva il problema di educarci, di convincerci di qualcosa. Lo desiderava, certo, certo pregava per questo, ma era come se ci sfidasse: “Io sono felice, vedete la mia vita, vedete se trovate qualcosa di meglio e decidete”. Perseguiva tenacemente la sua santità, non la nostra. Sapeva che santi a nostra volta lo saremmo potuti diventare solo per nostra libera scelta.
Una fede che non si dimostrasse aderente alla vita reale, che non si mostrasse capace di esaltare l’io, il cuore e l’attesa del singolo, non potrà mai suscitare curiosità e interesse e desiderio di seguire.
Una volta mio figlio Andrea mi ha detto (era in prima liceo), serissimo: “Ma papà, noi siamo una famiglia normale?” Perché tutto fuori di qui dice il contrario: scuola, TV, amici. Allora ho capito che sentiva una estraneità tra l’insegnamento in casa e la vita, la vita nel mondo normale. Si trattava di fargli veder un altro “mondo”, un altro mondo in questo mondo. Ho capito che mi chiedeva di fargli vedere che la cosa funzionava davvero, che c’erano amici, famiglie, realtà, movimenti, chiese, oratori, parrocchie missioni da cui poter capire e stare certo che quando fosse stato chiamato a sfidare il mondo avrebbe avuto ragioni sufficienti da portare, tutto il peso e la forza di tanti testimoni; che sarà un modo minoritario, quello che vive in un certo modo, ma che sia un mondo vero, "famiglie vere, amici veri, case vere.
Dalla testimonianza del prof.Franco Nembrini , l’11 giugno 2007
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