....«Quel giorno Giovanni stava ancora là con due discepoli. Fissando lo sguardo su Gesù che passava disse…». Immaginatevi la scena, dunque. Dopo 150 anni che lo aspettavano, finalmente il popolo ebraico, che sempre, per tutta la sua storia, per due millenni, aveva avuto qualche profeta, qualcheduno riconosciuto profeta da tutti, dopo 150 anni, finalmente il popolo ebraico, ebbe di nuovo il profeta: si chiamava Giovanni Battista. Ne parlano anche altri scritti dell’antichità, è documentato storicamente, quindi. Tutta la gente – ricchi e poveri, pubblicani e farisei, amici e contrari – andava a sentirlo e a vedere il modo con cui viveva, al di là del Giordano, in terra deserta, di locuste e di erbe selvatiche. Aveva sempre un crocchio di persone attorno. Tra queste persone quel giorno c’erano anche due che andavano per la prima volta e venivano, diciamo, dalla campagna – veramente venivano dal lago, che era abbastanza lontano ed era fuori del giro delle città evolute –. Erano là come due paesani che per la prima volta vengano in città, spaesati, e guardavano con gli occhi sbarrati tutto quel che stava attorno e soprattutto lui. Erano là con la bocca aperta e gli occhi spalancati a guardare lui, a sentire lui, attentissimi.
Improvvisamente uno del gruppo, un giovane uomo, se ne parte, prende il sentiero lungo il fiume per andare verso il nord. E Giovanni Battista immediatamente, fissandolo, grida: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo!». Ma la gente non si mosse, erano abituati a sentire il profeta ogni tanto esprimersi in frasi strane, incomprensibili, senza nesso, senza contesto; perciò, la maggior parte dei presenti non ci fece caso. I due che venivano per la prima volta ed erano là che pendevano dalle sue labbra, che guardavano gli occhi suoi, seguivano i suoi occhi dovunque girasse lo sguardo, hanno visto che fissava quell’individuo che se ne andava, e si sono messi alle sue calcagna. Lo seguirono stando a distanza, per timore, per vergogna, ma stranamente, profondamente, oscuramente e suggestivamente incuriositi. «Quei due discepoli, sentendolo parlar così, seguirono Gesù. Gesù si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbi, dove abiti?”. Disse loro: “Venite a vedere”». È questa la formula, la formula cristiana. Il metodo cristiano è questo: «Venite a vedere». «E andarono, e videro dove abitava, e si fermarono presso di lui tutto quel giorno.
Erano circa le 4 del pomeriggio». Non specifica quando partirono, quando gli andarono dietro; tutto il brano, anche quello seguente, è fatto di appunti, come dicevo prima: le frasi finiscono in un punto che dà per scontato che si sappiano già tante cose. Per esempio: «Erano circa le 4 del pomeriggio»; ma quando andarono via, quando andarono là, chi lo sa? Comunque sia, erano le 4 del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni Battista e lo avevano seguito si chiamava Andrea, era il fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo proprio suo fratello Simone che tornava dalla spiaggia – tornava o dalla pescagione o dal rassettare le reti necessarie al pescatore – e gli dice: «Abbiamo trovato il Messia». Non narra nulla, non cita nulla, non documenta nulla, è risaputo, è chiaro, sono appunti di cose che tutti sanno! Poche pagine si possono leggere così realisticamente veritiere, così semplicemente veritiere, dove non una parola è aggiunta al puro ricordo.
Come ha fatto a dire: «Abbiamo trovato il Messia»? Gesù, parlando loro avrà detto questa parola, che era nel loro vocabolario; perché dire che quello fosse il Messia, “in quattro e quattro otto” così asseverato, sarebbe stato impossibile. Ma si vede che, stando là ore e ore ad ascoltare quell’uomo, vedendolo, guardandolo parlare – chi è che parlava così? Chi aveva mai parlato così? Chi aveva detto quelle cose? Mai sentite! Mai visto uno così! –, lentamente dentro il loro animo si faceva strada l’espressione: «Se non credo a quest’uomo non credo più a nessuno, neanche ai miei occhi». Non che l’abbiano detto, non che l’abbiano pensato, l’hanno sentito, non pensato. Avrà dunque detto, quell’uomo, tra l’altro, che era lui colui che doveva venire, il Messia che doveva venire. Ma era stato così ovvio nella eccezionalità dell’annuncio, che loro hanno portato via quella affermazione come se fosse una cosa semplice – era una cosa semplice! –, come se fosse una cosa facile da capire....
... Un uomo che ha detto: «Io sono la via» è un fatto storico accaduto, la cui prima descrizione è dentro questa mezza pagina che ho iniziato a leggere. E ognuno di noi sa che è accaduto. Nulla è accaduto al mondo di così impensato ed eccezionale come quell’uomo di cui stiamo parlando: Gesù di Nazareth.
Ma quei due, i primi due, Giovanni e Andrea – Andrea era molto probabilmente sposato con figli – come hanno fatto a essere così conquisi subito e a riconoscerlo (non c’è un’altra parola da dire, diversa da riconoscerlo)? Dirò che, se questo fatto è accaduto, riconoscere quell’uomo, chi era quell’uomo, non chi era fino in fondo e dettagliatamente, ma riconoscere che quell’uomo era qualcosa di eccezionale, di non comune – era assolutamente non comune –, irriducibile ad ogni analisi, riconoscere questo doveva essere facile.l’eccezionale? Perché senti «eccezionale» una cosa eccezionale? Perché corrisponde alle attese del cuore tuo, per quanto confuse e n Se Dio diventasse uomo, venisse tra di noi, se venisse ora, se si fosse intrufolato nella nostra folla, fosse qui tra noi, riconoscerlo, a priori dico, dovrebbe essere facile: facile riconoscerlo nel suo valore divino. Perché è facile riconoscerlo? Per una eccezionalità, per una eccezionalità senza paragone. Io ho davanti una eccezionalità, un uomo eccezionale, senza paragone. Cosa vuol dire eccezionale? Cosa vorrà dire? Perché ti fa colpo? Corrisponde d’improvviso – d’improvviso! –, alle esigenze del tuo animo, del tuo cuore, alle esigenze irresistibili, innegabili del tuo cuore come mai avresti potuto immaginare, prevedere, perché non c’è nessuno come quell’uomo. L’eccezionale, cioè, è, paradossalmente, l’apparire di ciò che è più naturale per noi.
Che cos’è naturale per me? Che quello che desidero avvenga. Più naturale di questo! Che quello che più desidero più avvenga: questo è naturale. Scontrarsi con qualcosa di assolutamente e profondamente naturale, perché corrispondente alle esigenze del cuore che la natura ci ha dato, è una cosa assolutamente eccezionale. È come una strana contraddizione: ciò che accade non è mai eccezionale, veramente eccezionale, perché non riesce a rispondere adeguatamente alle esigenze del cuore. S’accenna alla eccezionalità quando qualcosa fa battere il cuore per una corrispondenza che si crede di un certo valore e che il giorno dopo sconfesserà, che l’anno dopo annullerà.
È l’eccezionalità con cui appare la figura di Cristo ciò che rende facile il riconoscerlo. Bisogna immaginarsi, l’ho detto, occorre immedesimarsi in questi avvenimenti. Se si pretende di giudicarli, se si vuole giudicarli, non dico capirli, ma giudicarli sostanzialmente, se veri o falsi, è la sincerità della tua immedesimazione che rende vero il vero e non falso, e non rende dubitoso il tuo cuore del vero. È facile riconoscerlo come ontologia divina perché è eccezionale: corrisponde al cuore, e uno ci sta e non andrebbe mai via – che è il segno della corrispondenza col cuore –. Non andrebbe mai via, e lo seguirebbe tutta la vita. E infatti lo seguirono gli altri tre anni che lui visse....(Don Giussani)
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