...La bellezza dell’insegnamento della Chiesa risplende solo quando non è
annacquata. La tentazione di diluire la dottrina è rafforzata oggi da
un fatto imbarazzante: i cattolici divorziano con la stessa frequenza
dei non credenti. Qualcosa chiaramente non ha funzionato. È
irragionevole pensare che tutti i cattolici divorziati e risposati
abbiano iniziato i loro primi matrimoni fermamente convinti della loro
indissolubilità e poi abbiano cambiato radicalmente idea nel corso del
tempo. È più ragionevole presumere che si siano sposati anzitutto senza
comprendere chiaramente cosa stavano facendo: bruciavano i ponti dietro
di sé per sempre (cioè fino alla morte), cosicché l’idea stessa di un
secondo matrimonio semplicemente non doveva esistere per loro.
Purtroppo la Chiesa cattolica non è senza colpa. I corsi di
preparazione al matrimonio cristiano molto spesso non forniscono ai
fidanzati un quadro chiaro delle implicazioni di un matrimonio
cattolico. Se lo facessero, molte coppie probabilmente non deciderebbero
di sposarsi in chiesa. Per altre, naturalmente, una buona preparazione
al matrimonio fornirebbe un’utile spinta alla conversione. C’è un
immenso fascino nell’idea che l’unione di un uomo e di una donna è
“scritta nelle stelle”, che resiste per una forza dall’alto, e che nulla
può distruggerlo, “nella buona e nella cattiva sorte”. Questa
convinzione è una magnifica ed eccitante fonte di forza e di gioia per
sposi che attraversano crisi matrimoniali e cercano di infondere nuova
vita nel loro vecchio amore.
Invece di rafforzare il fascino naturale e intuitivo
dell’indissolubilità matrimoniale, molti uomini di Chiesa, compresi
vescovi e cardinali, preferiscono raccomandare, o almeno prendere in
considerazione un’altra opzione, che è alternativa all’insegnamento di
Gesù e che rappresenta fondamentalmente una capitolazione al pensiero
dominante secolarista.
Il rimedio per l’adulterio implicito nelle seconde nozze dei
divorziati, ci viene detto, non deve più essere la contrizione, la
rinuncia e il perdono, ma il passare del tempo e l’abitudine, come se la
generale accettazione sociale e il sentirci a nostro agio con le nostre
decisioni e con le nostre vite avesse un potere quasi soprannaturale.
Questa alchimia presumibilmente trasforma il concubinaggio adulterino
che chiamiamo “secondo matrimonio” in un’unione accettabile che merita
di essere benedetta dalla Chiesa nel nome di Dio. Se la logica è questa,
non sarebbe men che giusto che la Chiesa benedicesse anche le unioni
fra persone dello stesso sesso.
...........
Aristotele ha insegnato che c’è maggiore male in un peccato abituale
che in una singola caduta accompagnata dal rimorso. L’adulterio è un
tipico caso di questo tipo, soprattutto quando conduce a nuove
disposizioni, legalmente sanzionate come il “secondo matrimonio”, che
sono quasi impossibili da disfare senza grande sofferenza e sforzo.
Tommaso d’Aquino utilizza il termine perplexitas per definire casi come
questo. Ci sono situazioni dalle quali non c’è via d’uscita che non
comporti una colpa di un qualche tipo. Anche un solo atto di infedeltà
intrappola l’adultero nella perplessità: deve confessare ciò che ha
fatto all’altro coniuge oppure no? Se lo confessa, potrebbe essere ciò
che salva il matrimonio e comunque evita una bugia che alla fine
distruggerebbe la fiducia reciproca.
D’altra parte, una confessione potrebbe rappresentare per il
matrimonio una minaccia ancora più grande che il peccato stesso, ed è
per questo che spesso i sacerdoti consigliano ai penitenti di non
rivelare l’infedeltà ai loro coniugi. Si noti, a questo proposito, che
san Tommaso insegna che non inciampiamo mai nella perplexitas senza un
qualche grado di colpa personale e che Dio permette ciò come punizione
per il peccato che all’inizio ci ha portati sulla strada sbagliata.
Giochi di prestigio sotto l’altare
Restare vicini ai nostri fratelli cristiani nel mezzo della
perplexitas del secondo matrimonio, mostrare verso di loro empatia e
assicurarli della solidarietà della comunità, è un’opera di
misericordia. Ma ammetterli alla comunione senza contrizione e
regolarizzare la loro situazione sarebbe un’offesa nei confronti del
Santo Sacramento – una in più fra le tante che vengono compiute oggi.
Le istruzioni di Paolo riguardo all’Eucarestia nella prima Lettera ai
Corinti culminano in una messa in guardia dal ricevere il corpo di
Cristo senza esserne degni: «Chiunque mangia il pane e beve il calice
del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore».
Perché fra tutte le feste i riformatori liturgici hanno tolto questi
versetti decisivi proprio dalla seconda lettura della Messa del Giovedì
Santo e del Corpus Domini? Quando in chiesa vediamo tutti i presenti
alzarsi e andare a ricevere la comunione domenica dopo domenica, viene
da chiedersi: le parrocchie cattoliche sono formate esclusivamente da
santi?
C’è ancora un ultimo punto, che di diritto dovrebbe essere il primo.
La Chiesa ammette di avere gestito lo scandalo degli abusi sessuali
contro i minori senza sufficiente considerazione per le vittime. Nel
caso del matrimonio si sta ripetendo lo stesso schema. Qualcuno ha mai
parlato delle vittime? Qualcuno parla della donna lasciata dal marito
insieme ai suoi quattro figli? Lei potrebbe volere che lui torni, se non
altro per garantire il necessario ai figli, ma adesso lui ha una nuova
famiglia e nessuna intenzione di tornare.
Intanto il tempo passa. E l’adultero vorrebbe di nuovo ricevere la
comunione. È pronto a confessare la sua colpa, ma non vuole pagarne il
prezzo – ovvero, una vita di continenza.
La donna abbandonata è
costretta a guardare mentre la Chiesa accetta e benedice la nuova
unione. La beffa oltre al danno: il suo essere stata abbandonata riceve
l’approvazione ecclesiastica. Sarebbe più onesto sostituire la formula
“finché morte non vi separi” con una che dica “finché non finisce
l’amore di uno dei due”: una formula che qualcuno già raccomanda
seriamente. Parlare in questo caso di “liturgia di benedizione”
piuttosto che di un secondo matrimonio davanti all’altare è un gioco di
prestigio ingannevole che getta semplicemente polvere negli occhi della
gente.
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