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Vedo ancora l’interno di questo povero rifugio petroso dove hanno
trovato asilo, accomunati nella sorte a degli animali, Maria e Giuseppe.
Il Focherello sonnecchia assieme al suo guardiano. Maria solleva piano
il capo dal suo giaciglio e guarda. Vede che Giuseppe ha il capo
reclinato sul petto come se pensasse, e pensa che la stanchezza soverchi
il suo buon volere di rimanere desto. Sorride d’un buon sorriso e,
facendo meno rumore di quanto ne può fare una farfalla che si posi su
una rosa, si mette seduta e da seduta in ginocchio. Prega con un sorriso
beato sul volto; prega a braccia aperte non proprio a croce, ma quasi a
palme volte in alto e in avanti, né mai pare stanca di quella posa
penosa. Poi si prostra col volto contro il fieno in una ancora più
intensa preghiera.
Giuseppe si scuote. Vede quasi morto il fuoco e quasi tenebrosa la
stalla. Getta una manciata di eriche fini fini e la fiamma risfavilla;
vi unisce rametti più grossi, e poi ancora più grossi, perché il freddo
deve esser pungente. ... .....lentamente si avvicina al giaciglio.
Non dormi Maria ? Chiede. Lo chiede tre volte, finché ella si riscuote e risponde: Prego .
Non abbisogni di nulla ?
No Giuseppe .
Cercherò, ma pregare non mi stanca.
Maria riprende la sua posa. Giuseppe per non cedere più al sonno, si
pone in ginocchio presso al fuoco e prega; prega con le mani strette sul
viso; le leva ogni tanto per alimentare il fuoco e poi torna alla sua
fervente preghiera. Meno il rumore delle legne che crepitano e quello
del ciuchino che di tanto in tanto batte uno zoccolo sul suolo, non
si ode niente....
Maria leva il capo come per una chiamata celeste e si drizza in
ginocchio di nuovo. Oh! come è bello qui! Ella alza il capo che pare
splendere nella luce bianca della luna, e un sorriso non umano la
trasfigura. Che vede ? Che ode ? Che prova ? Solo lei potrebbe dire
quanto vide, sentì e provò nell’ora fulgida della sua maternità. Io vedo
solo che intorno a lei la luce cresce, cresce, cresce. Pare scenda dal
Cielo, pare emani dalle povere cose che le stanno intorno, pare
soprattutto che emani da lei .
La sua veste azzurra cupa, pare ora di un mite celeste di miosotis, e
le mani e il viso sembrano farsene azzurrini come quelli di un messo
sotto il fuoco di un immenso zaffiro pallido. Questo colore, che mi
ricorda, benché più tenue, quello che vedo nelle visioni del santo
Paradiso e anche quello che vidi nella visione della venuta dei Magi, si
diffonde sempre più sulle cose, le veste, le purifica, le fa splendide.
La luce si sprigiona sempre più dal corpo di Maria, assorbe quella
della luna, pare che ella attiri a se quella che le può venire dal
cielo. Ormai è lei la depositaria della Luce. Quella che deve dare
questa Luce al mondo . E questa beatifica, incontenibile, immisurabile,
eterna, divina, Luce che sta per essere data, si annuncia con un’alba,
una diana, un coro di atomi di luce che crescono come una marea, che
salgono, salgono come un incenso, che scendono come una fiumana, che si
stendono come un velo …
E la luce cresce sempre più. E’ insostenibile all’occhio. In essa
scompare come assorbita da un velario d’incandescenza, la Vergine…e ne
emerge la Madre.
Si quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo
Maria col Figlio neonato sulle braccia. Un piccolo Bambino roseo e
grassottello, che annaspa e zampetta con le manine grosse quanto un
boccio di rosa; che vagisce con una vocina tremula, proprio di agnellino
appena nato, aprendo la boccuccia che sembra una fragolina di bosco e
mostrando la linguetta tremolante contro il roseo palato; che muove la
testolina tanto bionda da parere quasi nuda di capelli, una tonda
testolina che la mamma sostiene nella curva di una sua mano, mentre
guarda il suo Bambino e lo adora piangendo e ridendo insieme e si curva a
baciarlo non sulla testa innocente, ma sul centro del petto, là dove
sotto è il cuoricino che batte, batte per noi …là dove un giorno sarà la
ferita. Gliela medica in anticipo, quella ferita, la sua Mamma, col suo
bacio immacolato......
Anche Giuseppe che quasi rapito pregava così intensamente da essere
isolato da quanto lo circondava, si scuote, e dalle dita strette al viso
vede filtrare la luce strana. Leva le mani dal viso, alza il capo, si
volge. Il bue ritto in piedi nasconde Maria. Ma ella chiama: Giuseppe, vieni .
Giuseppe accorre. e quando vede si arresta, fulminato di riverenza, e sta per cadere in ginocchio là dove è. Ma Maria insiste: Vieni Giuseppe
e punta la mano sinistra sul fieno e tenendo con la destra stretto al
cuore l’infante, si alza e si dirige verso Giuseppe che cammina
impacciato, per il contrasto tra il desiderio di andare e il timore di
essere irriverente.
Ai piedi della lettiera i due sposi si incontrano e si guardano con un pianto beato.
Vieni che offriamo al Padre, Gesù, dice Maria .
E mentre Giuseppe si inginocchia, Ella, ritta in piedi fra due tronchi
che sostengono la volta, alza la sua Creatura fra le braccia e dice:
Eccomi. Per Lui , o Dio, ti dico questa parola. Eccomi a fare la tua
volontà. E con Lui, io Maria, e Giuseppe , mio sposo. Ecco i tuoi servi,
Signore. Sia fatta sempre da noi, in ogni ora e in ogni evento, la tua
volontà, per tua gloria e per amor tuo . Poi Maria si curva e dice : Prendi Giuseppe e offre l’Infante .
Io, a me ? Oh no! Non sono degno! Giuseppe è sbigottito, addirittura annientato all’idea di dover toccare Iddio.
Ma Maria insiste sorridendo: Tu
ne sei ben degno. Nessuno più di te lo è, e per questo l’Altissimo ti
ha scelto. Prendi Giuseppe e tienilo, mentre io cerco i panni .
Giuseppe rosso come una porpora, stende le braccia e prende il
batufolino di carne che strilla di freddo e quando lo ha tra le braccia
non persiste nell’intenzione di tenerlo scosto da sé per rispetto, e se
lo stringe al cuore dicendo con un grande scoppio di pianto: O Signore e Dio mio! E
si curva a baciare i piedini e li sente freddi, e allora si siede al
suolo e se lo raccoglie in grembo e con la sua veste marrone e con le
mani cerca coprirlo, scaldarlo, difenderlo dalla sizza della notte.
Vorrebbe andare verso il fuoco, ma là c’è quella corrente d’aria che
entra dalla porta. Meglio stare qui, meglio anzi, andare fra i due
animali che fanno da scudo all’aria e che mandano calore. E va fra il
bue e l’asino e sta con le spalle alla porta, curvo sul Neonato per fare
del petto una nicchia, le cui pareti laterali sono una testa bigia
dalle lunghe orecchie e un grosso muso bianco dal naso fumante e
dall’umido occhio buono.
Maria ha aperto il cofano e ne ha tratto lini e fasce. E’ andata al
fuoco e le ha scaldate. Eccola che va a Giuseppe e avvolge il Bambino
nella tela intiepidita e poi nel suo velo per riparargli la testolina. Dove lo mettiamo ora, chiede .
Giuseppe guarda intorno, pensa… Aspetta dice. Spingiamo
più in qua i due animali e il loro fieno e tiriamo giù quel fieno là in
alto e lo mettiamo qui dentro. Il legno della sponda lo riparerà
dall’aria, il fieno gli farà guanciale e il bue col suo fiato lo
scalderà un pochino. Meglio il bue, è’ più paziente e quieto. E si
dà da fare mentre Maria ninna il suo Bambino stringendoselo al cuore e
tenendo la sua guancia sulla testolina per dargli calore......
Prendi il mio mantello, dice Maria.
Avrai freddo.
Oh! non fa nulla! La coperta è troppo ruvida. Il mantello è morbido e
caldo; io non ho freddo per nulla, ma che egli non soffra più .
Giuseppe prende l’ampio mantello di morbida lana celeste cupo e lo
accomoda in doppio sul fieno, con un lembo che pende fuor dalla greppia.
Il primo letto del salvatore è pronto.
E la madre col suo dolce passo ondeggiante, ve lo porta e velo depone e
lo ricopre con il lembo del manto e lo conduce anche intorno al capino
nudo che affonda nel fieno, appena riparato da questo dal sottile velo
di Maria. Rimane scoperto solo il visetto grosso come un pugno d’uomo, e
i due, curvi sulla greppia, lo guardano beati dormire il suo primo
sonno, perché il calduccio delle fasce e del fieno ha calmato il pianto e
conciliato il sonno al dolce Gesù .
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