Per gli amici che conoscono come me Luca...
(peraltro stassera si esibirà a Iseo con MIC CIRC FRATILOR)
La radio e il filo spinato (photo: Guido Mencari) |
Una smisurata passione per la radio, per le inarrestabili onde radio, infinite e immortali come la speranza e la fede nell'amore sono la scenografia di vita di Maximilian Kolbe, radioamatore e frate francescano che si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia nei campi di concentramento. Una realtà che Roberto Abbiati tramuta nell'azione scenica intitolata “La radio e il filo spinato” al suo debutto a Lucca per I Teatri del Sacro.
Un desolato e disadorno palcoscenico descrive una squallida e cupa atmosfera. La penombra non permette di mettere a fuoco nessun elemento dell'essenziale scenografia.
I due attori, Roberto Abbiati e Luca Salata, scrivono nero su bianco il paesaggio scenico. Lo riempiono di oggetti, tracciando movimenti al limite tra la veemenza e la staticità, fino a diventare essi stessi parte integrante dell'intero scenario.
La triste vicenda viene, infatti, rivelata attraverso una continua trasposizione, molto spesso in chiave comica, degli oggetti, i cui contorni vengono definiti da luci che assumo una forte valenza semantica, attribuendo allo spazio connotazioni sempre diverse attraverso l'uso di metafore.
Così dei barattoli diventano i deportati, una sega la prigione, delle scarpe e delle sagome Kolbe stesso, narrando l'avventura umana di questo martire sul sottofondo di “Always suffering” dei Rolling Stones: “Forse perché il rock si addice a uno spirito forte e ardito come lui”, spiega Abbiati.
Tuttavia, ad imporsi sull'intera performance non è la figura del frate, come ci si aspetterebbe, bensì la scenografia e le testimonianze in flashback delle vittime, rese dai due attori attraverso continui mutamenti fisici e vocali, e grazie alla loro interrelazione con gli oggetti presenti in scena. Grandi e piccole marionette che interagiscono con gli stessi attori donando voce e corpo al fine di raccontare le miserie e la grandezza della vita umana. Attraverso l'uso di maschere a gas sulla nuca, ad esempio, interpretano le SS quando sono di spalle, per tornare ad essere deportati nella loro posizione frontale.
Sul finale incarnano, invece, la figura dell'ufficiale medico che inietta il veleno nel corpo dell'automa poggiato sulla cassa/catafalco al centro della palco per mezzo di un geniale intreccio di braccia, creando una scena di incredibile impatto emozionale.
Grazie alle continue rievocazioni, al meccanismo scenico architettato nei minimi particolari, capace di abbracciare una vasta gamma di espedienti composti da gesti, parole, suoni, oggetti e luci, lo spettacolo si insinua nell'animo del pubblico, accompagnandolo nel cammino riflessivo verso la catarsi e l'amore celebrato da Kolbe.
La radio e il filo spinato
di e con Roberto Abbiati e Luca Salata
regia Roberto Abbiati
assistente Lucia Baldini
le immagini usate nello spettacolo sono di Lucia Baldini
con un contributo poetico di Mario Vighi
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