"......Cos’è la misericordia di Dio?
È Dio che abita dentro di noi e ci ama tanto da dirci: «Io patisco dentro di te e in te sono sfigurato, ma non mi arrendo, non ti abbandono; voglio che tu rinasca e tu dovrai infine ritrovarti e ricominciare la vita».
Gesù dice a Maria di Magdala: «Molto ti è perdonato, perché tu possa amare di più». Anche l’adultera è fatta nuova dall’incontro con Gesù che non la condanna, ma la apre a vita nuova. Gesù, al contrario dei suoi accusatori, non guarda questa creatura per non umiliarla – ci sono sguardi che lapidano – ma scrive per terra ed è bella questa sfumatura di carità.
Nel Vangelo Maria di Magdala, la peccatrice e l’adultera, segnate dalla sofferenza, scrivono le pagine più alte. È attraverso la sofferenza della colpa che i pubblicani e le meretrici ci precederanno nel Regno dei cieli. Ed è attraverso la colpa e la sofferenza che Pietro ha maturato un cuore capace di pascolare il gregge di Dio. Di fronte alle domande incalzanti di Gesù che gli domanda se lo ami, Pietro risponde: «Signore, tu leggi nei cuori, tu lo sai che io ti amo» ed è una risposta e una preghiera che dovremmo imparare a fare nostre. E Gesù gli dice: «Adesso che hai conosciuto il mistero della tua fragilità, posso costruire su di te la mia Chiesa».
Questo è il perdono: fare delle colpe bellezza
Nel Vangelo troviamo tanta povera gente impigliata in scelte sbagliate, inchiodata, paralizzata in un passato oppressivo. Queste creature possedute dal male, sotto lo sguardo di Gesù, si fanno nuove, vestite di bellezza e di miracolo. Erano consunte, logore, senza più rispetto di se stesse e sono rinate. Di fronte a Lui, totalmente puro, scopriamo la nostra condizione di peccatori. È l’esperienza che fa il buon ladrone, il primo santo canonizzato dallo stesso Cristo: «Oggi sarai con me in Paradiso». Il perdono è fare delle colpe bellezza. In questo senso scompare il senso morboso della colpa, non guardiamo a essa come a un peso che grava su di noi; possiamo, invece, riconciliarci con noi stessi. Non dobbiamo, dunque, rimuovere le colpe, ma dire con Agostino: «Signore, che cose belle hai fatto con le mie esperienze sbagliate». Ogni avventura può avere il suo punto di trasfigurazione. È necessario non fuggire, ma affrontare la nostra coscienza, trovando il coraggio di arrivare in fondo, alla verità ultima di noi stessi: senza verità, infatti, non c’è perdono e non c’è assoluzione. È necessaria, dunque, la coscienza, ma di sola coscienza si può anche morire. Dopo aver destato la coscienza, abbiamo bisogno della tenerezza di Dio che ci avvolge. A volte, infatti, noi siamo i torturatori di noi stessi: non sappiamo perdonarci. Se noi non ci perdoniamo, saremo sempre intossicati dal male.
Perdonare è dare la possibilità di ricominciare la vita
Chi di noi nella vita non è stato salvato da un amore, che è andato al di là dei propri meriti e dei propri demeriti, da qualcuno che si è fatto nostro compagno di strada, che non ci ha giudicato, che ci ha preso per mano, che ci ha restituito fiducia e ci ha dato così la possibilità di ricominciare la vita? L’amore che salva dice: «Ti amo non perché sei buono, ma perché sei un amico, e ti amo tanto che alla fine sarai buono. Io, per quanto sta in me, voglio aiutarti a far emergere la parte luminosa di te». Perdonare è l’atto più grande di tutta la creazione: rifare una novità di vita a partire dalle esperienze sbagliate, far rifiorire una creatura spenta. Solo chi è abitato dallo Spirito di Dio, è capace di questo gesto divino: aprire le realtà più chiuse, quali sono la morte e il peccato.Occorre arrivare a vedere la sofferenza più che la colpa. Il peccatore è un sofferente. Le parole che Gesù rivolge a Giuda: «Meglio che non fossi mai nato», vogliono significare: «Infelice amico, perché con un bacio tradisci la più alta amicizia della tua vita? Quanto dolore te ne verrà di conseguenza!». Sono queste parole di pietà e di misericordia.
Anche noi possiamo diventare capaci di pietà e di amore.
Là dove facciamo fatica ad amare, dobbiamo imparare a vedere, oltre la colpa, la sofferenza. Dove c’è sofferenza deve esserci, infatti, pietà. Con la fantasia del cuore dobbiamo essere un angelo amico che faccia sentire a chi soffre la nostra pietà e il nostro amore. Dio ci aiuti ad avere pietà verso ogni creatura, a vedere la pena segreta che c’è nel cuore di ogni uomo, non bloccandoci a considerare la sua colpa. Signore, aiutaci a perdonare, a fare, come te, nuove tutte le cose.II peccato non è violazione di una norma. Per Giovanni, il peccato è il rifiuto di Cristo, è il peccato contro la luce.
In questa visione emerge la grandezza sacra di ogni uomo. Siamo icona di Dio e dobbiamo essere fedeli a questa verità divina, altrimenti rischiamo di perdere la vera misura di noi e di tutte le cose.
La penitenza è, dunque, il sacramento dell’ascolto, non del giudizio, è un cammino, una progressiva purificazione del nostro modo di sentire, di essere e di pensare. Nel Vangelo, infatti, la penitenza si rivela come beatitudine, festa, buona novella, un ritrovare la bellezza che ci fa nuovi, sotto lo sguardo di chi ci restituisce la vita nella sua pienezza e nella sua gioia."
Don Michele Do
(Saint Jacques, 16 agosto1990; testo trascritto da una registrazione)
don Michele Do
Nato a Canale il 13 aprile 1918, don Michele Do compì gli studi prima nel Seminario di Alba e poi presso l'Università Gregoriana di Roma dove conseguì la licenza in teologia. Prese parte attiva alle vicende della resistenza partigiana e nel 1945, dopo una breve esperienza di insegnamento in Seminario, chiese di potersi ritirare in qualche posto solitario per poter riflettere e ripensare alla sua visione del cristianesimo, stimolato in questo anche dall'incontro con Mazzolari.
Trovata disponibile la rettoria di Saint Jacques di Champoluc in Valle d'Aosta, allora un villaggio sperduto, senza strada, con un centinaio di abitanti, vi rimase a lungo rettore fino a quando, nella vecchiaia, si ritirò nella Casa Favre, sopra il villaggio, una pensione-fraternità, luogo di amicizia e spiritualità aperta.
Il suo maggiore riferimento, nella linea del modernismo più spirituale - il cuore umano come primo luogo della sete religiosa e dell'evangelo universale - fu don Primo Mazzolari, insieme a tanti altri spiriti ardenti della chiesa e di ogni focolare religioso. I suoi maggiori amici e fratelli di cammino furono David Maria Turoldo, Umberto Vivarelli, padre Acchiappati, Ernesto Balducci, sorella Maria di Campello e, tramite lei, Ernesto Buonaiuti, padre Rogers e sua moglie (anglicani), don Girolamo Giacomini e tanti, tanti altri, non solo credenti, ma tutti assetati e commensali di verità e autenticità vissuta.
"Appartato, ma senza polemiche superficiali, rispetto alle strutture ecclesiastiche, è stato un centro vivissimo di aperte amicizie e accoglienze, che ha attirato una quantità di cuori vivi in ricerca, da tutte le condizioni umane. È stato una grande anima, uno spirito acceso dal fuoco vivo dello Spirito. Un cercatore instancabile di Dio. Fremeva e cercava, in ogni colloquio e incontro, l'aiuto e l'ascolto nostro per una rilettura essenziale del cristianesimo e di tutta la ricerca spirituale umana, e comunicava tracce preziose di luce." (E. Peyretti).
Uomo autentico, prete cristiano, testimone dell'umana sete di Dio, don Michele Do è morto sabato 12 novembre 2005 ad Aosta.
Trovata disponibile la rettoria di Saint Jacques di Champoluc in Valle d'Aosta, allora un villaggio sperduto, senza strada, con un centinaio di abitanti, vi rimase a lungo rettore fino a quando, nella vecchiaia, si ritirò nella Casa Favre, sopra il villaggio, una pensione-fraternità, luogo di amicizia e spiritualità aperta.
Il suo maggiore riferimento, nella linea del modernismo più spirituale - il cuore umano come primo luogo della sete religiosa e dell'evangelo universale - fu don Primo Mazzolari, insieme a tanti altri spiriti ardenti della chiesa e di ogni focolare religioso. I suoi maggiori amici e fratelli di cammino furono David Maria Turoldo, Umberto Vivarelli, padre Acchiappati, Ernesto Balducci, sorella Maria di Campello e, tramite lei, Ernesto Buonaiuti, padre Rogers e sua moglie (anglicani), don Girolamo Giacomini e tanti, tanti altri, non solo credenti, ma tutti assetati e commensali di verità e autenticità vissuta.
"Appartato, ma senza polemiche superficiali, rispetto alle strutture ecclesiastiche, è stato un centro vivissimo di aperte amicizie e accoglienze, che ha attirato una quantità di cuori vivi in ricerca, da tutte le condizioni umane. È stato una grande anima, uno spirito acceso dal fuoco vivo dello Spirito. Un cercatore instancabile di Dio. Fremeva e cercava, in ogni colloquio e incontro, l'aiuto e l'ascolto nostro per una rilettura essenziale del cristianesimo e di tutta la ricerca spirituale umana, e comunicava tracce preziose di luce." (E. Peyretti).
Uomo autentico, prete cristiano, testimone dell'umana sete di Dio, don Michele Do è morto sabato 12 novembre 2005 ad Aosta.
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