SCOPO
I
Innanzitutto
la natura nostra ci dà l'esigenza
di
interessarci degli altri.
Quando
c'è qualcosa di bello in
noi,
noi ci sentiamo spinti a comunicarlo
agli altri.
Quando si vedono altri che stanno peggio di noi,
Quando si vedono altri che stanno peggio di noi,
ci
sentiamo spinti ad aiutarli
in
qualcosa di nostro. Tale esigenza
è talmente originale, talmente naturale,
che
è in noi prima ancora che ne siamo coscienti e
noi
la chiamiamo giustamente legge dell'esistenza.
Noi
andiamo in «caritativa» per soddisfare
questa esigenza.
II
Quanto
più noi viviamo questa esigenza e questo
dovere, tanto più realizziamo noi stessi;
comunicare
agli altri ci dà proprio
l'esperienza
di completare noi stessi.
Tanto è vero che, se non
Tanto è vero che, se non
riusciamo
a dare, ci sentiamo diminuiti.
Interessarci
degli altri, comunicarci
agli altri, ci fa
compiere
il supremo, anzi
unico, dovere della vita,
che è realizzare noi stessi, compiere noi stessi.
che è realizzare noi stessi, compiere noi stessi.
Noi
andiamo in «caritativa» per imparare
a compiere questo dovere.
III
Ma
Cristo ci ha fatto capire il perché
profondo di tutto ciò svelandoci
la legge ultima dell'essere edella
vita: la carità. La legge suprema,
cioè, del nostro essere è condividere
l'essere degli altri, è mettere
in comune se stessi.
Solo
Gesù Cristo ci dice tutto questo, perché Egli
sa
cos'è ogni cosa, che cos'è Dio da cui nasciamo,
che
cos'è l'Essere.
Tutta
la parola «carità» riesco a spiegarmela quando
penso che il Figlio di Dio, amandoci, non ci hamandato
le sue ricchezze come avrebbe potuto fare
,
rivoluzionando la nostra
situazione, ma si è
fatto
misero come noi, ha «condiviso» la nostra nullità.
Noi
andiamo in «caritativa» per imparare a vivere come Cristo.
CONSEGUENZE
I
La
carità è legge dell'essere e viene prima di ogni
simpatia
e di ogni commozione. Perciò il fare per
gli
altri è nudo e può essere privo
di entusiasmo. Potrebbe beni
ssimo
non esserci nessun risultato
cosiddetto
«concreto» - per noi l'unico
atteggiamento «concreto» è
l'attenzione
alla persona, la considerazione
della persona, cioè l'amore
.
Tutto
il resto può venire di conseguenza: come Gesù che
dopo fece
i miracoli e sfamò
la gente.
per
la nostra apertura agli altri
noi dobbiamo notare:
1.
Sovvenire
ai bisogni altrui.
È
un punto di partenza ancora incompleto!
Qual
è il bisogno altrui?
Questa
impostazione è ambigua, dipende da cosa noi
crediamo
che sia il bisogno
altrui: e se ciò che
io
porto non è veramente quello di cui essi ha
nno
bisogno? Ciò di cui hanno veramente bisogno
non
lo so io, non lo misuro io, non ce l'ho io. È una misura che non
possiedo io: è una misura chesta
in Dio. Perciò le «leggi» e le
«giustizia»
possono schiacciare,
se dimenticassero o pretendessero
sostituirlo,
l'unico «concreto» che ci sia:
la
persona, e l'amore alla persona.
2.
L'amicizia.
Anche
cominciare puntando sull'amicizia, con tutta
l'ambiguità che ci può comportare, èi ncompleto.
L'amicizia
è una corrispondenza che si può trovare
o no, un avvenimento non essenziale per la nostra
azione di oggi, anche se essenziale
per il nostro destino finale.
II
L'andare
agli altri liberamente, il condividere un po'
della loro vita e il mettere
in comune un po' della
nostra, ci fa scoprire una cosa sublime
e misteriosa (sì capisce facendo!).
È
la scoperta del fatto che proprio perché li amiamo,
non
siamo noi a farli contenti;
e
che neppure la
più perfetta società, l'organismo legalmente
più
saldo e avveduto, la ricchezza più ingente, la salute
più di ferro, la bellezza più pura, la civiltà
più educata li potrà mai fare contenti.
È
un Altro che li può fare contenti. - Chi è la ragione
di tutto? Chi ha
fatto tutto? Dio.
Allora
Gesù non rimane più soltanto
colui che mi annuncia la parola
più vera, che mi spiega la legge
della mia realtà, non è più la luce della mia
mente
soltanto: io scopro che Cristo è il senso
della
mia vita.
È
bellissima la testimonianza di chi ha sperimentato
questo valore: «Io continuo ad andare incaritativa
perché tutta la mia e
la
loro sofferenza hanno un senso».
Sperando
in Cristo, tuttoha
un senso, Cristo.
Questo
scopro, finalmente, nell'ambito dove vado
in
«caritativa», proprio attraverso
l'impotenza
finale
del mio amore: ed è l'esperienza in cui
l'intelligenza
affonda nella saggezza, nella cultura
vera.
III
Ma
il Cristo è presente adesso: non «è stato», non
«è
nato», ma «c'è», «nasce» oggi: è la Chiesa. La
Chiesa
è il Cristo, presente adesso,
come Lui ha voluto.
Perciò
la speranza ci sostiene; Dio stesso
è tra noi, è presente tra noi.
Uno
di noi, in una discussione ha detto: «Continuo
ad
andare a .... perché ci siete
voi». È verissimo:
proprio
il senso del nostro essere insieme, della comunità
ecclesiale, ci fa tirare
avanti oggi fra gli handicappati,
negli ospizi, con chiunque è bisognoso
e, domani, nella fabbrica, nella città, in Europa,
nel Mondo che è così grande e Lo aspetta.
DIRETTIVE
1.
Sapere
perché.
Finché
non sapremo bene, con chiarezza e
semplicità
il
perché ultimo, lo scopo del nostro fare, fino
allora
non bisognerà mai stare quieti.
Il nostro scopo è tirar fuori da quel che facciamo il senso,
l'idea, per la quale esclusivamente potremo riuscire ad essere fedeli,
quando non saremo più entusiasti o non provassimo più gusto.
Il nostro scopo è tirar fuori da quel che facciamo il senso,
l'idea, per la quale esclusivamente potremo riuscire ad essere fedeli,
quando non saremo più entusiasti o non provassimo più gusto.
Occorrerà
quindi dialogare nellenostre
assemblee, a gruppetti, con
i responsabili della comunità,con
le persone più mature e vive.
Soprattutto revisionarsi ogni tanto attraverso contatti «centrali».
Soprattutto revisionarsi ogni tanto attraverso contatti «centrali».
2.
Fare
per comprendere.
Per
capire non basta sapere,occorre
fare, con quel coraggio,
della libertà, che è aderire all'essere
della libertà, che è aderire all'essere
che
si vede, cioè alla verità.
Se
la legge dell'esistenza è mette
re
in comune se stessi, noi dovremmo
condividere tutto, ogni istante.
Questa
è la maturità suprema, che si chiama umanità
o
santità. Per educarci a
questo ideale, l'esserci
costretti
dalle circostanze (il «dovere» nel senso
solito) serve molto più difficoltosamente.
È
il piccolo tempo libero che mi educa; ciò che dà l'esatta
misura della mia disponibilità agli altri è,l'uso
di quel tempo che è solo mio, in cui posso fare «ciò che ho
voglia». Ci formiamo così una mentalità,
un
modo quasi istintivo di concepire la
vita tutta come un condividere.
Il
piccolo tempo libero redime tutto il resto. E, adagio
adagio, andando in «caritativa» si incomincia a
capire di più il compagno di banco, il papà
e la mamma, il collega di lavoro.
È
soprattutto l'età della giovinezza il momento
unico in cui possiamo con agilità, almeno normalmente,
assimilare questa mentalità. Ed è
solo cominciando a fare, a donare del tempo libero come
integrale gesto di libertà, che la carità
cristiana
diventerà mentalità, convinzione,
dimensione
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