venerdì 19 febbraio 2021
Scuola di Cristianesimo del Movimento Ecclesiale Carmelitano (testo quinta lezione)
QUINTA LEZIONE
P. Antonio Maria Sicari
Brescia, 15 febbraio 2021
«MOVIMENTO: LA NOSTRA PAROLA-CHIAVE»
La parola “Movimento” possiede ormai tanti significati: viene usata in campo fisico, sociale, politico, filosofico, letterario, artistico, musicale.
pertanto opportuno chiarire subito quale sia il Movimento che vogliamo osservare e al quale vogliamo partecipare: quello dell’Amore che ha origine in Dio e scorre in tutte le direzioni.
Ripartiamo, dunque, dal tema generale della nostra Scuola di Cristianesimo («DA CRISTO A NOI»), che ci indica subito la questione principale che vogliamo ogni volta approfondire:
Nel rapporto che ci lega a Cristo,
Dio è Colui che ci viene sempre incontro
col suo Amore che non viene mai meno.
Nella lezione del mese scorso (11 gennaio 2021), abbiamo riflettuto sul caso estremo: quello del peccatore che non si lascia scoraggiare nemmeno dal suo peccato, perché sa che l’Amore di Dio è infinitamente grande e non indietreggia mai.
Bisogna aggrapparsi sempre a questa verità pur soffrendo dei propri peccati (ma senza approfittarne per deridere Dio decidendo di continuare allegramente a peccare!).
L’amore di Dio per noi viene impedito, nella sua azione, solo se, e fino a quando, la nostra libertà (che Lui stesso ha reso inviolabile) si ostina a dirGli di no.
Soffrire immensamente dei propri peccati, senza mai perdere fiducia e serenità (e perfino “gioia”), è sempre stata l’occupazione dei Santi.
I. UNA PAGINA DI MEDITAZIONE
Per esemplificare quello che abbiamo già spiegato e meditato, vi offro anzitutto una bella pagina carmelitana che racconta l’esperienza della nostra Madre Santa Teresa d’Avila, e la dottrina che ella ci ha lasciato*.
Vi accorgerete subito che è una pagina piena di riflessioni e di racconti, ma tutto viene espresso in forma di preghiera, e che possiamo farla diventare “la nostra preghiera”.
Ecco dunque l’esperienza di S. Teresa:
«Il Volto Divino che ha affascinato Santa Teresa d’Avila ha un profilo che si definisce tanto più chiaramente, quanto più si osserva la particolare pedagogia che Dio usò con lei: una pedagogia tutta impregnata dal “sempre di più”.
Teresa lo descrive come “un Dio che non lascia mai nulla di intentato a favore di quelli che lo amano e, appena li vede pronti ad accoglierLo, Egli dona e si dona” (V 22,17).
E questo perché Egli ama tanto dare: “Che cosa non ci darà uno che è così tanto amico di donare e può donare tutto ciò che vuole?” (5M 1,5), e lo vuole a costo di “fare tutto Lui”! Teresa sa che più volte sarebbe tornata indietro nel suo cammino, “se la misericordia del Signore non mi avesse sostenuta” (V 31,17). In realtà il testo spagnolo dice: “Si el Señor tan misericordiosamente no lo hiciera todo de su parte” – “Se il Signore non avesse fatto tutto Lui!” (V 31,17).
Dio, insomma, “non vorrebbe far altro che donare” (PAD 6,1), e “non desidera altro che trovare anime alle quali poter donare, senza che le sue ricchezze debbano per questo diminuire” (6M 4,12). D’altronde, se è vero che “la grandezza di Dio non ha limiti”1, ne segue infallibilmente che “non hanno limite neanche le sue opere” (7M 1,1).
E allora, se nemmeno la nostra meschinità è in grado di arrestare Dio, perché soffermarci su altre meschinità?
“Vedendo quanto grande sia la Sua misericordia nel manifestarsi e nel comunicarsi con vermi come noi, dimentichiamo le nostre piccole soddisfazioni terrene e corriamo, infiammate dal suo amore, occupate soltanto della sua grandezza” (5M 4,10)2.
Perciò “Dio ama che non si pongano limiti alle sue opere” (1M 1,4): “Non bisogna mettere limiti a Dio” dato che “Egli può fare tutto ciò che vuole per noi e desidera fare molto di più” (6M 11,1)3. “Egli non si stanca mai di donare, né le sue misericordie possono esaurirsi: non stanchiamoci noi di riceverle” (V 19,15).
Insomma, Dio agisce secondo quel che è: tale formula basta per spazzar via ogni ostacolo, ogni paura e ogni timidezza.
Egli non solo appaga ogni nostro desiderio, ma considera ogni nostro desiderio – per quanto grande – troppo poca cosa: “Oh Signore, come sono sproporzionati i nostri desideri alle vostre meraviglie! In che miseria finiremmo se voi proporzionaste i vostri doni alle nostre domande!” (PAD 5,6).
Di tutto ciò Teresa è testimone perché ne ha fatto esperienza: “Ho sempre avuto da Voi, o Signore, testimonianze d’amore superiori di molto a quanto ho saputo chiedere e desiderare” (E 5,2). “Non si devono mettere limiti a un Dio così grande e che desidera tanto offrirci la grazia” (PDA 6,13).
Il compito dell’uomo, dunque, è quello di approfondire i suoi desideri all’infinito, se vuole proporzionarsi (e non ci riuscirà mai del tutto!) ai doni che Dio intende fargli: “Se all’anima sembra che non vi sia più nulla da desiderare, al nostro Divino Re resta ancora molto da dare”, e perciò “Il Signore non si contenta di proporzionare i suoi doni ai nostri modesti desideri” (PDA 6,1). Perfino quando l’anima già è penetrata nell’ultima dimora del Castello interiore e le sembra che “non vi sia più niente da aggiungere”, Santa Teresa avverte: “Sarebbe una stoltezza pensarlo (…). Chi potrebbe esaurire il racconto delle sue misericordie e delle sue magnificenze? È una cosa impossibile!” (7M 1,1).
Teresa giungerà addirittura a chiedere a Dio di recuperare perfino il tempo ormai passato, da lei perduto nel non amarLo: “Han forse un limite le vostre grandezze o le vostre opere magnifiche? O Dio mio, o misericordia mia! Questo è il momento di far vedere se la mia povera anima s’inganna
Cfr. anche C 22,6: «O Sovrano mio Dio, potenza infinita, bontà suprema, sapienza eterna senza principio e senza fine! Voi le cui opere non hanno limite, le cui perfezioni sono incomprensibili e infinite, oceano senza fondo di meraviglie, bellezza che in sé comprende ogni bellezza, Voi che siete la forza medesima…!».
Da sottolineare che il termine gusano (verme) dev’essere interpretato alla luce della tenera storia del «gusano de seda», narrata da Teresa nelle quinte Dimore.
In questo testo la parola «mucho», usata da Teresa, equivale a «sempre di più».
quando, pensando al tempo perduto, afferma che in un istante Voi potete farglielo recuperare” (E 4,1).
Tutto verrà, infatti, recuperato nell’abbraccio indissolubile di Teresa col Padre celeste, nel Figlio: “Stamattina trovandomi in orazione, mi sembrò che Nostro Signore Gesù portasse l’anima mia di fronte al Padre e gli dicesse: “Colei che mi desti, ecco io te la do!”. E mi parve che il Padre mi attirasse a sé” (REL n. 15; cfr. anche REL n. 25).
Ed è questo divino inarrestabile di-più che richiede alla creatura un’opportuna pedagogia». DOMANDE
Basta interrogarsi su molte espressioni che Santa Teresa usa in questa serie di testi aggiungendo, alle sue affermazioni su Dio, la domanda: Ma io credo davvero in questo? – Mi fido di Dio fino a questo punto?...
Come prima cosa, traiamo ora da tanti belli insegnamenti, quel principio fondamentale che più ci sta a cuore e che l’apostolo San Giovanni ha formulato in maniera assoluta nella sua Prima Lettera:
“Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui… Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,16.19).
II. «EGLI CI HA AMATI PER PRIMO» (1Gv 4,19)
Questo principio fondamentale, che ci è stato offerto da San Giovanni Evangelista nella sua Prima Lettera, deve dunque servirci come fondamento di tutto il nostro argomentare.
In fondo è questa la premessa che continuiamo a riprendere, perché ha una profondità sempre maggiore di quando riusciamo, di volta in volta, ad afferrare.
Ricominciamo allora ad approfondirla disegnando – in maniera esemplificativa – due vicende amorose:
Immaginiamo prima due creature che si amano e che si vanno reciprocamente incontro, desiderose di un vero abbraccio.
Ancora di più: desiderose di un abbraccio sponsale, fecondo di vita.
Ancora di più: desiderose di un abbraccio sponsale innestato nel tessuto di tanti altri legami di amicizia e di operosa solidarietà.
Ancora di più: desiderose di un abbraccio che duri tutta la vita, divenendo sempre più intenso e profondo.
Ancora di più: desiderose di un abbraccio duraturo, premiato alla fine col dono dell’eternità…
In tutto questo (trattandosi di due creature) sarà implicata sempre – in forma più o meno grave – anche la loro umana limitatezza e fragilità, di cui non è difficile prendere coscienza, ma è implicato anche Dio.
Per comprendere la portata di questa divina implicazione, cerchiamo di immaginare anche due persone che si amano e si vanno reciprocamente incontro, ma con questa particolarità sconvolgente: una delle due è Divina, ed è pronta a donare tutto, anche la propria vita, partecipandoci anche la propria divinità. E il suo amore è, pertanto, infinito nel suo continuo fluire e penetrare in ogni direzione.
In questo caso l’altra persona (la creatura umana) non sarà liberata dal senso del proprio limite e delle proprie fragilità, ma dovrà sempre pensarli avvolti da una infinità d’amore e di perdono. Non dovrà mai lasciarsi schiacciare dal proprio limite, ma continuare a immergersi nell’infinito.
Non dovrà mai dimenticare d’essere un umile creatura, ma dovrà attendere con fiducia che l’Infinito Amore la divinizzi (come ha promesso di fare).
In questo caso quella pienezza d’amore, che – tra le creature abbandonate a se stesse sarebbe soltanto sogno e nostalgia – tra la creatura e Dio diventa promessa certa e certa speranza di pienezza.
Ed è – come abbiamo visto – una pienezza d’amore che va in tutte le sue direzioni!
Si tratta ora di mettere questo contenuto che appartiene innanzi tutto a Dio (cioè: “l’amore che va in tutte le direzioni!”) proprio dentro la parola “Movimento”.
Siamo ormai abituati ad usare tale parola in senso ecclesiale, ma ora dobbiamo renderci conto che, in tal caso, essa deve essere necessariamente una «parola-chiave», capace di farci comprendere tutti i contenuti che cerchiamo di assimilare e di vivere nella nostra storia di Movimento Ecclesiale Carmelitano.
Ed è bello qui ricordare che è stato Papa Giovanni Paolo II a sviscerare per noi tutti i significati della parola Movimento.
Era il 27 settembre 1981 (pochi mesi dopo l’attentato subìto in piazza San Pietro) e il Papa ricevette i Movimenti Ecclesiali riuniti nel loro primo Convegno Internazionale, in udienza a Castel Gandolfo (dove trascorreva la sua convalescenza).
Ciò su cui insistette di schianto fu la necessità di considerare l’intera Chiesa come “un
Movimento di risposta al Vangelo”. E, dentro la Chiesa, tutti i percorsi possibili dell’amore!
Risposta, dunque, non proposta o iniziativa (queste appartengono sempre alle Spirito Santo!),
ma risposta capace di abbracciare tutto.
Disse dunque il Papa:
«I “movimenti”, nel seno della Chiesa-Popolo di Dio, esprimono quel molteplice movimento che è la risposta dell’uomo alla Rivelazione, al Vangelo:
il movimento verso lo stesso Dio Vivente, che tanto si è avvicinato all’uomo;
il movimento verso il proprio intimo, verso la propria coscienza e verso il proprio cuore, il quale nell’incontro con Dio svela la profondità che gli è propria;
il movimento verso gli uomini, nostri fratelli e sorelle, che Cristo mette sulla strada della nostra vita» (Omelia S. Messa 27/09/1981, n.3).
Tale affermazione (pur così universale) ne suppone dunque un’altra ancora più radicale e decisiva: che tutto “il muoversi dell’amore che accade nella Chiesa” non fa altro che rispecchiare in sé il mistero di quell’“amore da cui la Chiesa è nata”: risposta ad un amore originale scaturito “come dono del Padre - in Gesù Cristo - per opera dello Spirito Santo”.
Se riflettete bene sono parole che esprimono proprio quello che stiamo cercando di approfondire in tutte le nostre lezioni di Scuola di Cristianesimo, e che possiamo così sintetizzare:
QUANDO, DUNQUE, SI USA LA PAROLA “MOVIMENTO” IN SENSO ECCLESIALE, SI INTENDE SEMPRE IL “IL MOVIMENTO DELL’AMORE IN TUTTE LE SUE DIREZIONI”, MA CON LA CONSAPEVOLEZZA CHE ESSO INIZIA DA DIO (NEL CUORE DEL PADRE),
CI RAGGIUNGE IN CRISTO
VIENE CONTINUAMENTE VERSATA NEL NOSTRO CUORE DALLO SPIRITO SANTO. IN TALE CONSAPEVOLEZZA SONO ESSENZIALI
SIA LA COSCIENZA DEI LIMITI INEVITABILI DI OGNI AMORE UMANO,
SIA LA COSCIENZA DELL’INFINITÀ OCEANICA DELL’AMORE CON CUI DIO CI AVVOLGE.
A partire da questa premessa vogliamo ora procedere a una radicale verifica di tutti i nostri discorsi, di tutti i nostri atteggiamenti e di tutte le nostre scelte, quando parliamo di “Movimento”.
Si tratta di mettere a tema il fatto che la fede cristiana è sempre e soltanto “risposta d’amore” ed esige sempre un prima: “l’Amore di Dio che si offre e ci viene incontro e ci chiede amore”, in qualsiasi circostanza e in qualsiasi situazione.
Insomma si tratta di far diventare la parola “Movimento” la nostra parola-chiave.
«MOVIMENTO: LA NOSTRA PAROLA-CHIAVE»
Mentre il Consiglio Generale del MEC, con un gruppo di responsabili, sta riflettendo su «Il MEC domani», mi sembra utile offrire un aiuto, indicando la “parola-chiave” che potrà aiutarci a comprendere meglio il significato di tutte le questioni che sarà necessario esaminare e per facilitare la risposta che sarà necessario dare a tante domande.
La parola-chiave, in questione, è semplicemente la stessa parola «MOVIMENTO» considerata anzitutto nel suo significato umano (là dove essa indica semplicemente la nostra vita che si fa riconoscere nel suo esserci e nel suo maturare e nelle “molteplici direzioni” che dobbiamo percorrere per saperla gustare e santificare).
Ma si tratta anche di una vita che deve essere ammirata e gustata soprattutto osservando l’Amore Divino che la impregna fin dal principio e non smette mai di versarsi su di essa.
E può essere considerata davvero una parola-chiave, anche solo pensando agli innumerevoli significati che essa ha assunto nella storia della Chiesa e della nostra “esperienza ecclesiale”.
Dopo avere più volte sottolineato il significato di tale parola, quando a muoversi è soprattutto Dio, che lascia fluire continuamente il Suo amore, cerchiamo ora di vedere le caratteristiche del nostro “muoverci” per verificare l’autenticità della risposta che Gli diamo.
C’è anzitutto IL MOVIMENTO DELLA NOSTRA FEDE.
quando, la nostra intelligenza si apre, gioiosa ed entusiasta ad accogliere il dono del Dio che le si rivela; e quando si organizza per poterlo trasmettere agli altri;
quando la nostra intelligenza credente lascia volentieri la parola allo Spirito Santo, senza “se” e senza “ma”: senza sotterfugi e senza scappatoie; senza frammentazioni e senza
selezioni;
– quando la nostra intelligenza accetta il lavoro che la verità esige per essere compresa e
comunicata, rinunciando ai discorsi astratti e alle astrazioni sentimentali;
quando la nostra intelligenza si impegna ad ascoltare fino in fondo le esigenze della “voce” che Gesù ci rivolge in forma personalizzata (= vocazione) per svolgere il compito che Lui vuole personalmente affidarci (= missione);
quando la nostra intelligenza si impegna a conoscere davvero ciò che diciamo di amare e ad amare davvero quello che impariamo a conoscere (per impedire che la nostra mente diventi “diabolica”);
quando la nostra intelligenza non si lascia contaminare e non interrompe mai il necessario lavoro per ripulirsi da ogni falsa incrostazione;
quando la nostra intelligenza decide non un cammino qualunque per raggiungere Dio, ma l’esatto cammino per incontrare Lui che ci viene amorevolmente incontro;
quando la nostra intelligenza entra immediatamente in sintonia e simpatia con ogni altra intelligenza cristiana, e con ogni verità (da chiunque sia detta).
IL MOVIMENTO DELLA NOSTRA CARITÀ, segue quello della Fede passo dopo passo, e spesso
perfino lo anticipa.
Lo si vede:
quando la nostra volontà si protende a quella particolare “perfezione della carità” che si chiama santità;
quando la nostra volontà impara ad aderire pienamente allo stato di vita al quale siamo stati chiamati e alle persone che in esso ci vengono affidate;
quando la nostra volontà non si accontenta di relazioni superficiali con Dio, ma ricerca ininterrottamente la maggiore intimità possibile con Lui (esperienza mistica);
quando la nostra volontà non pone limiti all’amore del prossimo, e si protende fino alla massima estensione possibile.
Il Movimento della nostra Speranza, viene anch’esso generato da “Fede” e “Carità”, e spesso le anticipa.
quando la nostra intelligenza custodisce come il suo bene più prezioso le promesse di Dio;
quando non traiamo le nostre certezze da ciò che sappiamo, ricordiamo o desideriamo, ma solo dall’amore di Dio che abbiamo esperimentato e dalla certezza della invincibilità di questo stesso amore;
quando ci convinciamo che: «essere cristiani significa far sbocciare tutti i fiori nella certezza che l’Amore avrà l’ultima parola» (M. Zundel) e che l’esperienza cristiana è «un immenso bagno di gloria, di certezza, di poesia in cui dobbiamo sempre restare immersi» (P. Claudel);
quando tutte le nostre facoltà (intelligenza / volontà / memoria) custodiscono come il loro bene più prezioso la certezza che nulla potrà mai arrestare il cammino di Dio per raggiungerci, se non il nostro ostinato rifiuto.
Tutto ciò accade in quel Movimento che è, dunque, la stessa Chiesa: lo alimenta e ne è alimentato:
Movimento del corpo mistico che appartiene a Gesù ed è animato dal Suo Spirito.
Movimento di una Sposa che vuole essere gradita al Suo Sposo Divino.
Come si vede sono tutti “Movimenti della Carità di Dio” che deve incarnarsi in noi per generare nel mondo Cultura e Missione:
CULTURA significa desiderio di CONOSCERE CRISTO E TUTTO CIÒ CHE È SUO, nella persuasione che: Più si conosce Cristo, più Lo si ama e più ci si sente amati da Lui.
Più si conosce Cristo, più ci si sente conosciuti da Lui.
Più si conosce Cristo, più conosciamo noi stessi.
Più si conosce Cristo, più conosciamo gli altri.
Più si conosce Cristo, più siamo presi da quel “profondo stupore a riguardo della dignità dell’uomo che si chiama appunto Vangelo” (Red. hominis, n. 10).
Più si conosce Cristo, più comprendiamo “che Egli ha nella storia dell’uomo e nella storia dell’umanità un particolare diritto di cittadinanza” (ivi).
Più si conosce Cristo, più desideriamo conoscere e coltivare tutta la realtà, perché tutto Gli appartiene.
MISSIONE significa invece AZIONE PER FAR CONOSCERE E FARE AMARE CRISTO NELLA PERSUASIONE CHE:
Più ci si preoccupa di far conoscere e amare Cristo,
più noi stessi impariamo a conoscerlo e ad amarlo, (innescando un circolo virtuoso che procede all’infinito).
Più ci si preoccupa di far conoscere e amare Cristo,
più ci viene rivelato il senso e lo scopo della nostra vita personale. Più ci si preoccupa di far conoscere e amare Cristo,
più il tempo acquista significato e preziosità.
Più ci si preoccupa di far conoscere e amare Cristo,
più scopriamo il senso del nostro lavoro (in famiglia e nel mondo). Più ci si preoccupa di far conoscere e amare Cristo,
più la Chiesa diventa bella e materna.
Più ci si preoccupa di far conoscere e amare Cristo, più il mondo diventa Chiesa.
E tutto questo deve accadere assecondando il movimento DEL CARISMA CARMELITANO che lo Spirito Santo ci ha donato a tale scopo.
IV. IL MOVIMENTO PROPRIO DEL NOSTRO CARISMA CARMELITANO Il Movimento Ecclesiale Carmelitano si realizza solo:
se è Movimento per donare noi stessi e la nostra “comunione” alla Chiesa;
se è Movimento di tutte le membra per coordinarsi nel dinamismo missionario della Chiesa;
se è Movimento per donare la Chiesa al mondo e il mondo alla Chiesa;
se è Movimento per mettere gli “stati di vita” in comunione tra loro e a reciproco servizio.
Poiché ogni carisma è per definizione un dono, ne segue che bisogna assecondare il movimento proprio del “donare”.
dunque necessario porsi con assoluta serietà queste tre domande:
QUALE “MOVIMENTO D’AMORE” REALIZZA LO SPIRITO SANTO CON L’ORDINE CARMELITANO?
QUAL È IL “MOVIMENTO D’AMORE” CHE VIENE IMPRESSO ALLA CHIESA MEDIANTE IL CARISMA CARMELITANO?
QUAL È IL “MOVIMENTO D’AMORE” CHE LA CHIESA, NEI SUOI DIVERSI STATI DI VITA, PUÒ DONARE AL
MONDO, IN MODO SPECIFICO, MEDIANTE IL CRISMA CARMELITANO?
QUALE “MOVIMENTO D’AMORE” REALIZZA LO SPIRITO SANTO CON L’ORDINE CARMELITANO?
Prima di entrare nello specifico carismatico, dobbiamo riaffermare il fondamento comune rispondendo che col nome “Carmelo” intendiamo anzitutto una forma di vita consacrata (una tra tante altre) che lo Spirito ha donato alla Chiesa da circa ottocento anni.
Assieme a tanti altri Istituti religiosi, esso condivide quello che oggi (a partire dalla Esortazione di Paolo V, Evangelica Testificatio - 1971) viene chiamato “carisma della vita religiosa” (o “consacrata”). Nei documenti del Magistero successivo – da Mutuae Relationes (1978) fino a Vita Consecrata (1997) e a Juvenescit ecclesia (2016) – si preciserà che tale carisma non solo abilita il fedele che lo riceve a una particolare “azione ecclesiale” (determinando “uno stile particolare di vita cristiana e di apostolato”), ma plasma anche “l’identità del credente e dà forma della sua esistenza” secondo “la forma storica che Gesù scelse nella sua esistenza terrena”.
Alla domanda iniziale rispondiamo dunque così: anche nel Carmelo (come in ogni altro istituto di vita consacrata) dev’essere anzitutto percepibile il Movimento dell’Amore del Padre, reso visibile dalla vita concreta del suo Figlio incarnato e la risposta che la Chiesa gli dà nelle persone che si sentono chiamate a tale forma di vita consacrata.
QUAL È IL MOVIMENTO D’AMORE CHE VIENE IMPRESSO ALLA CHIESA MEDIANTE IL CRISMA CARMELITANO?
L’aspetto propriamente carmelitano di questa forma di vita consacrata è, dunque, legato a quello che (in tutte gli altri Ordini o Istituti) viene chiamato “carisma del Fondatore”4. Ma l’Ordine carmelitano ha, a questo riguardo, una storia parzialmente atipica che ci fa preferire la formula “carisma di Fondazione”. Alle origini del carisma carmelitano, infatti, non c’è un Fondatore bene identificato, ma un gruppo anonimo di «eremiti latini in Terra Santa», che si raggrupparono sulle pendici del Monte Carmelo sul finire del secolo XII. Tali eremiti, pur non avendo un Fondatore, trassero la loro identità carismatica da un insieme di fatti dotati di forte incidenza personalizzante.
In primo luogo dobbiamo ricordare l’abitazione di un luogo sacro (il Monte Carmelo) carico di “memorie”, perché considerato già nella Scrittura come:
Monte della bellezza paradisiaca: terra promessa, patria che può essere «perduta o ritrovata», secondo che i suoi abitanti abbiano prestato o no obbedienza alla Parola di Dio.
Monte della Alleanza e della Gelosia di Dio e «luogo della decisione», dove Elia aveva fatto discendere il fuoco di Jahvè, riconducendo il popolo eletto all’unico vero Dio.
Monte profetico e dimora dei primi monaci, carico di “leggende”: leggende sulle origini del monachesimo (riguardanti il profeta Elia), sulla pregustazione del fatto cristiano fin
Paolo VI, nell’Esortazione Mutuae Relationes (1978) lo ha descritto così:
«Il carisma del Fondatore si rivela come una esperienza dello Spirito, da essi trasmessa ai propri discepoli, per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata, in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita» (MR, n. 11). Inoltre è necessario ricordare che «Per dare un giudizio sulla genuinità di un carisma si presuppongono le seguenti caratteristiche: a) una singolare sua provenienza dallo Spirito, distinta, anche se non separata, dalle peculiari doti personali che si manifestano nel campo operativo e organizzativo; b) un profondo ardore dell’animo di configurarsi a Cristo per testimoniare qualche aspetto del suo mistero; c) un amore costruttivo verso la Chiesa, che assolutamente rifugge dal provocare in essa qualsiasi discordia» (MR, n. 51).
In seguito il documento Optiones Evangelicae (1980) chiese esplicitamente ai religiosi anche una «fedeltà dinamica alle intenzioni per le quali lo Spirito ha suscitato i loro istituti nella Chiesa» (n. 8a) e «una fedeltà capace di riportare all’oggi della vita e della missione di ciascun istituto l’ardimento col quale i fondatori si erano lasciati conquistare dalle intenzioni originarie dello Spirito» (n. 30).
“Carisma del Fondatore”, “Dono originario dell’istituto”, “Carisma delle origini”: le espressioni finiscono per
implicarsi mutuamente. Ma sempre rimandano, come l’acqua di un fiume alla sorgente: a quella «originale e originaria configurazione a Cristo che il Fondatore esperimentò nell’ardore del suo animo».
nel cuore dell’Antico Testamento, e sulla familiarità che gli antichissimi “monaci carmelitani” avrebbero vissuto con i primi protagonisti del Nuovo Testamento.
Monte mariano, dove quei primi carmelitani scelsero la S. Vergine come loro Patrona,
prestandole un particolare culto che aveva la caratteristica della “familiarità” (considerando, cioè, Maria come «sorella», «madre» e «quasi-genitrice»).
In seguito, il carisma venne codificato nella “Norma di vita” chiesta dagli eremiti ad Alberto, Patriarca di Gerusalemme. Costretto a trasmigrazione in Occidente, l’Ordine dovette assumere una fisionomia simile a quella degli altri “ordini mendicanti” definendo il suo carisma in base al comando della Regola che chiedeva loro “una preghiera continua”.
Nel secolo XVI una vera fisionomia fondativa fu data all’Ordine dall’esperienza e dagli insegnamenti di S. Teresa d’Avila e di S. Giovanni della Croce che divennero per tutti i cristiani «Maestri nel cammino spirituale» (ambedue riconosciuti in seguito “Dottori della Chiesa”).
Per loro mezzo l’ideale carmelitano si proiettò, come annuncio della «grande dignità» di ogni uomo, chiamato alla comunione con Dio. Altri spunti di identità carismatica furono aggiunti in seguito da figure particolarmente eminenti in santità e dottrina: S. TERESA DI LISIEUX, S. ELISABETTA DELLA TRINITÀ E S. TERESA BENEDETTA DELLA CROCE (EDITH STEIN).
A questo punto il «carisma carmelitano» è stato reso particolarmente disponibile per una «nuova collocazione», nel cuore stesso del mondo e fruibile in ogni stato di vita.
E il Movimento d’Amore che lo Spirito ha progressivamente indicato alla Chiesa, con tale carisma, è quello che va dal cuore della Chiesa (“massima intensità mistica”) alla “massima estensione missionaria” (sia in senso geografico che in senso antropologico).
QUAL È IL MOVIMENTO D’AMORE CHE LA CHIESA, NEI SUOI DIVERSI STATI DI VITA PUÒ DONARE AL MONDO, IN
MODO SPECIFICO, MEDIANTE IL CARISMA CARMELITANO?
Rileggendo l’esperienza di Santa Teresa d’Avila, in estrema sintesi, possiamo dire che si tratta di imparare una “preghiera continua” che nasce nel cuore e si va identificando con tutta la vita dell’orante (“Vita”), coinvolgendo progressivamente tutti i dinamismi della persona e anche le strutture materiali e comunitarie dell’esistenza (“Cammino di perfezione”), esperimentando ed offrendo a ogni uomo un itinerario verso il centro dell’anima (“Castello interiore”) che va dalla prima dimora (dove si arriva a “conoscere se stessi” nello stupore di sapersi amati da Dio nonostante la propria miseria) fino alla settima Dimora dove si è accolti dalla Trinità, per realizzare con piena adesione la propria sponsalità battesimale ed eucaristica con Cristo.
Per comprendere questa efficacia ecclesiale universale del carisma carmelitano nel tessuto quotidiano della vita cristiana, basta riflettere sulla scelta e le modalità con cui Giovanni Paolo
decise di additare ai giovani di tutto il mondo (riuniti a Parigi per la GMG del 1997, nell’anno centenario della morte di S. Teresa di Lisieux) il magistero di questa giovanissima carmelitana, conferendole il titolo di Dottore della Chiesa:
«Ho voluto dare qui il solenne annuncio, perché il messaggio di S. Teresa, giovane santa così presente nel nostro tempo, è particolarmente adatto a voi giovani: alla scuola del Vangelo, ella vi apre il cammino alla maturità cristiana; vi chiama ad un’infinità generosità; vi invita ad essere, nel Cuore della Chiesa, i discepoli e i testimoni ardenti della carità di Cristo» (Angelus del 24/08/1997).
GIUDIZI CONCLUSIVI SU QUESTO «MOVIMENTO CARMELITANO DELL’AMORE»
Potremmo ricercare tali giudizi già in una abbondante letteratura, nata all’interno della esperienza carmelitana.
Ma, per sottolinearne la universalità, preferiamo raccogliere alcuni riconoscimenti da testimonianze5 estranee all’Ordine Carmelitano, e alcune perfino estranee alla Chiesa:
THOMAS MERTON:
«Il fine dell’Ordine [carmelitano] fondato in onore della Vergine Santa è quello di far raggiungere ai suoi membri, sotto la guida di Lei, la vetta della contemplazione mistica, e di far conseguire questo stesso fine ad altri, per intercessione di Lei. Non c’è membro della
Chiesa che non debba qualcosa al Carmelo».
(Ascesa alla Verità, Garzanti, Milano 1955, 12).
HANS. U. VON BALTHASAR:
– «Proprio in tempi recenti il Carmelo è divenuto un luogo preferito di incontri: Benedettini (dom Vandeur ha scritto un famoso commento alla preghiera di Elisabetta), domenicani (padre Vallé, padre Petitot, padre Philippon ecc.) e gesuiti (come E. Przywara), rappresentanti di altri Ordini e del clero secolare si sentirono nel Carmelo come a casa loro, vicini al suo spirito, segno che la medesima radice nutre molti rami quando si è fedeli alla
propria missione».
(Sorelle nello Spirito, Jaca Book, Milano 1974, 264, p. 11).
– «Il Carmelo è solitudine in Dio, il cui senso è una generazione della Chiesa da parte della Chiesa. Per questo la piccola Teresa, in armonia con la tradizione del suo ordine (cioè di
Teresa d’Avila) ha cura di definire la funzione delle carmelitane come “madri di anime”. Per questo Giovanni della Croce svolge tutta la sua opera, per certi versi profondamente solitaria, in questo senso: è al centro della Chiesa, come Chiesa. Per questo anche la celebre preghiera della carmelitana Elisabetta della Trinità, è semplicemente una preghiera della solitudine che, in senso assoluto, può non parlare della Chiesa: poiché non è altro che una preghiera fatta nel cuore stesso della Chiesa».
(in Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1969, 28).
– «Negli ultimi tempi nessun Ordine religioso sembra essere stato più favorito del Carmelo
di grazie speciali con carattere di “missione”, grazie che evidentemente rappresentano un monito e un contrappeso alle correnti presenti nella Chiesa e nel mondo contemporaneo». (Sorelle nello Spirito, Jaca Book, Milano 1974, 263).
– «Bernanos, Claudel, Péguy stanno interamente nella luce di Lisieux e della aperta speranza che eruppe da là, e in questa scia viaggia tutta l’intera teologia della speranza orientata in senso cristiano esistenziale, quale da un decennio (nel 1957) si va sviluppando in Francia e ora anche in Germania».
Infine non dobbiamo dimenticare che a Santa Teresa d’Avila hanno dedicato qualche loro opera scrittori come: M. de Cervantes - Lope de Vega - R. B. Nuño - E. das Chagas - H. de Balzac - V. Hugo - R. M. Rilke - F. Garcia Lorca - R. Schneider – R. Carver - R. Steinhardt - G. von le Fort - V. Sakville West - J. L. Olaizoloa - J. Dobraczyninsky – J.
Kristeva.
(Verbum Caro, Morcelliana, Brescia 1968).
CHARLES DE FOUCAULD, un grande contemplativo che, dal giorno della conversione in poi, non smise mai di leggere e rileggere le opere di Teresa d’Avila, diceva:
– «Santa Teresa è uno di quegli autori che diventano come il pane quotidiano».
(Lettera del 10 ottobre 1915).
– «Non si può mai leggere troppo Santa Teresa, o rileggerla troppo: vi si trova un insieme senza confronti di esempi, di virtù e una dottrina perfettamente sicura: che spirito apostolico! Come quella di Dio, la sua carità si estendeva a tutti gli uomini. Come veniva portata, dall’Amore di Gesù, all’amore delle anime!».
(Lettera del 28 aprile 1916).
MIGUEL DE UNAMUNO commentava con fierezza tutta spagnola:
– «Altri popoli ci hanno lasciato soprattutto istituzioni, libri; noi abbiamo lasciato anime. Santa Teresa vale per qualsiasi istituzione, per qualsiasi «Critica della ragion pura».
(Del sentimento trágico de la vida, in: Obras Compl., Madrid 1968, vol, VII, 298).
EMIL CIORAN, nonostante il suo vantato agnosticismo, si diceva convinto che:
– «Il fuoco della sua anima [di Teresa] non si è mai spento, se ancor oggi ci riscalda». E aggiungeva:
– «La mistica spagnola è un momento divino della storia degli uomini».
(Lacrime e Santi, Adelfi, Milano 1990, p. 13-14).
EUGÈNE JONESCU alla domanda sulle personalità da lui più apprezzate, rispondeva:
– «I santi. Non ce ne sono altri: San Giovanni della Croce, Santa Teresa d’Avila, San Francesco, San Paolo… i grandi mistici. Sono solo loro: il loro messaggio, la loro testimonianza sono assolutamente indiscutibili. Hanno compiuto dei miracoli…, ma non è questo che è interessante. Ciò che conta è che credevano profondamente, che sono riusciti a fondersi con Dio. Non possiamo assolutamente essere come santi, ma dobbiamo prenderli a modelli per comportarci non secondo i rivoluzionari, non secondo i governi e le morali terrene, dobbiamo comportarci solo secondo i mistici. Bisogna staccarsi dai beni della terra, pur amandoli, ma in modo disinteressato. Amando la bellezza… Avrei voluto vivere una vita da santo. Avrei dovuto vivere in un ambiente monacale, una vita religiosa. Quando penso all’età che ho, mi dico che ho perso il mio tempo. Forse non del tutto, perché l’arte è la sola cosa, dopo la religione, che ci conduca verso l’assoluto».
(La ricerca di Dio. Intervista per la TV Svizzera, Bellinzona, 1990, 36).
SALVADOR DALÌ, in una sua intervista spiegava:
– «Studiando tutta la serie delle “cartoline” [da me dipinte] troverete un tema ricorrente: la farfalla. La farfalla non vi si trova solo in quanto cosa bella in sè stessa. La farfalla è presente perché per Santa Teresa d’Avila, una delle più grandi mistiche spagnole, essa simboleggiava l’anima. Il bruco, il brutto e goffo nostro corpo, entra in una specie di tomba, il bozzolo. Da questa morte emerge la farfalla… splendida, libera, non più legata alla terra. Per me, come per Santa Teresa, la farfalla è l’anima dell’uomo».
(cfr. Today’s Living, rivista della N.Y. Herald Tribune, del 24 gennaio 1960).
DOMANDE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE E DI GRUPPO:
PRIMA DI RISPONDERE, CERCA IN RETE QUALCHE GIUDIZIO SUGLI AUTORI CITATI (SOPRATTUTTO GLI ULTIMI CINQUE)PER CAPIRE CHI SONO E DI CHE COSA SI SONO OCCUPATI NELLE LORO OPERE.
Tra i giudizi che hai letto, quale ti affascina di più? E quale trovi difficile da capire?
Sapresti trarre da essi qualche suggerimento per la tua e la nostra vita?
Sapresti impostare su di essi una conversazione con qualche tuo amico, per spiegargli la tua appartenenza al MEC e per invitarlo?
Che te ne pare del giudizio (discutibile, ma bello) di Jonescu: “Non possiamo essere santi, ma dobbiamo comportarci secondo i mistici”: riesci a spiegarlo almeno un po’?
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