C’è stato un istante,
mentre compravo gli ultimi regali di Natale in un negozio affollato – e
fremevo per la coda alla cassa, e perché era tardi, e mi dicevo che
certo intanto avevo preso anche una multa per la sosta vietata – c’è
stato un istante in cui però mi sono bloccata a considerare gli
orecchini a forma di campanella, detti “acchiappafate”, che stavo per
regalare alla bambina. Mi sono fermata, in mezzo al casino della
vigilia, a guardare quei due campanellini dorati con una strana e
stupita tenerezza. Non per gli orecchini, ma per lei, al pensiero di
come avrebbe sorriso nel vederli, e sarebbe corsa a metterseli davanti
allo specchio, e sarebbe tornata tintinnando con i suoi acchiappafate.
Lì in coda alla cassa improvvisamente ho smesso di rimuginare sul caos,
sui vigili, sulla fretta e sono stata grata di avere tre figli, e una
ancora bambina, e allegra come una farfalla, e di potere farle dei
regali, che lei avrebbe aperto ansiosa e ridente….
Ma gli orecchini in mano dicevano: lei c’è, gli altri due e tuo marito ci sono, sono a casa, ti aspettano. Allora è stato come un fiotto di gratitudine: grazie di avermeli dati, e di ogni singolo minuto con loro. Io non avrei saputo, di quei tre, fabbricare un capello; e me li sono ritrovati in braccio affamati, strillanti, perfetti. Dal nulla, mi sono stati dati tre figli….
C’era, in un libro di Luigi Giussani di qualche anno fa, un passaggio all’apparenza semplice come una formula matematica. «Gratitudine, gratuità, letizia», diceva quella frase di ‘Il tempo e il Tempio’. Gratitudine, cioè riconoscimento di ciò che si ha, come un principio che può trasformarsi in gratuità di sguardo, e poi in letizia. Avevo letto e riletto quel passaggio, senza riuscire a capire davvero… Gratitudine, gratuità, letizia: pareva così semplice, ma non funzionava.
Il fatto è, credo, che riconoscere, vedere, non è uno sforzo di volontà, ma un dono (un dono da domandare anche per tutta la vita). Ma sarà poi duratura, mi chiedo diffidente,questa gratitudine passata addosso come una folata di vento? Non so. Non è cosa che appartenga, che si possieda. Forse la si può solo, ogni mattina, domandare.
Ma gli orecchini in mano dicevano: lei c’è, gli altri due e tuo marito ci sono, sono a casa, ti aspettano. Allora è stato come un fiotto di gratitudine: grazie di avermeli dati, e di ogni singolo minuto con loro. Io non avrei saputo, di quei tre, fabbricare un capello; e me li sono ritrovati in braccio affamati, strillanti, perfetti. Dal nulla, mi sono stati dati tre figli….
C’era, in un libro di Luigi Giussani di qualche anno fa, un passaggio all’apparenza semplice come una formula matematica. «Gratitudine, gratuità, letizia», diceva quella frase di ‘Il tempo e il Tempio’. Gratitudine, cioè riconoscimento di ciò che si ha, come un principio che può trasformarsi in gratuità di sguardo, e poi in letizia. Avevo letto e riletto quel passaggio, senza riuscire a capire davvero… Gratitudine, gratuità, letizia: pareva così semplice, ma non funzionava.
Il fatto è, credo, che riconoscere, vedere, non è uno sforzo di volontà, ma un dono (un dono da domandare anche per tutta la vita). Ma sarà poi duratura, mi chiedo diffidente,questa gratitudine passata addosso come una folata di vento? Non so. Non è cosa che appartenga, che si possieda. Forse la si può solo, ogni mattina, domandare.
(Marina Corradi, Tempi, 08 gennaio 2009)
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