domenica 16 marzo 2014

Movimento Ecclesiale Carmelitano Brescia -Prendersi cura di Gesù-Meditazione di Padre Gianni Bracchi-il testo

RITIRO QUARESIMA 2014 - PRENDERSI CURA DI GESU’

Auguro a voi e a me che oggi sia un giorno di grazia. E’ una scommessa che ho fatto anche io a me stesso. Oggi il Signore vuole fare grazia davvero. Quando si è così tanti insieme con nessun altro desiderio se non che Gesù diventi più presente nella vita di ciascuno, se domandiamo questa grazia l’uno per l’altro, volete che il Signore non ci ascolti? Personalmente chiedo che il Signore sia più vicino a ciascuno di voi oggi e voi fate la stessa cosa: chiedete che il Signore sia più vicino a me. Uno per l’altro chiediamo questa grazia perché il Signore ci tiene alla nostra vita. Magari siamo partiti distrattamente (succede), ma se siamo qui oggi è perché almeno un po’ ci teniamo anche noi al Signore o agli amici, che sono anche amici suoi. Comunque ci teniamo alla nostra umanità e c’è sempre un punto di verità in questa grazia dell’essere insieme. Che il Signore oggi possa farci grazia abbondantemente e per quello che dipende da noi teniamo le porte e le finestre del cuore e della mente ben spalancate. Il Signore sa essere generoso.
Il titolo di questa nostra giornata è “Prendersi cura di Gesù”.
Ho scelto tre immagini che ci guideranno, in obbedienza ad una frase che ho trovato in questi giorni in un articolo di Padre Aldino, che trovate sul sito del Mec. Padre Aldino parla dell’importanza delle immagini nell’educazione alla fede e cita una frase di H. Newman: “Di solito il cuore non è raggiunto attraverso la ragione, ma attraverso l’immagine”. Mi son detto: “Forse con i miei ragionamenti e le mie chiacchiere faccio fatica ad arrivare al cuore, ma spero che le immagini parlino più chiaro di quanto sappia fare io”. Di solito il cuore non è raggiunto attraverso la ragione, ma attraverso l’immagine.
1.    San Giuseppe: prendersi cura della persona di Gesù
Proiezione dell’immagine di San Giuseppe con in braccio Gesù. E’ un’immagine di tenerezza: è san Giuseppe con in braccio Gesù Bambino, che accosta il suo volto al volto di Gesù, quasi a respirarlo.
Frase che accompagna l’immagine: “Il Carmelo è la casa di Nazareth, la casa di Betania, il Cenacolo degli amici di Gesù. Se dovessi esprimere l’essenza del carisma carmelitano, direi che alla radice di esso c’è il bisogno che l’umanità di Gesù ha di essere accolta, ascoltata, abbracciata, amata.
E’ un dato che è vistosamente sottolineato nei Vangeli: Gesù si lamenta con il fariseo che lo ospita perché la sua accoglienza è stata fredda e formale; Gesù si dispiace perché Marta reputa più importanti i suoi servizi che ascoltare la sua parola; Gesù chiede ai discepoli più cari di accompagnarlo in vari momenti e specialmente nel momento della sofferenza più grande.
Il Gesù che accoglie con tenerezza ogni uomo, che non condanna né si separa da nessuno, è innanzitutto lo stesso che ha bisogno di essere accolto, ascoltato e custodito nella sua umana fragilità.
Sogno comunità di persone capaci di accogliere Gesù in questo modo, di conoscerlo come uomo che aspetta di entrare in relazione di amicizia con noi” (P. Saverio Cannistrà, Superiore Generale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi)
E’ il primo modo che vogliamo sottolineare del prendersi cura di Gesù, così come san Giuseppe si prendeva cura di Gesù, della persona di Gesù. È una delle esperienze più belle: potersi fidare di qualcuno, tanto da mettergli in mano la vita.  Dio Padre, quando ha guardato sulla terra, ha visto Giuseppe e ha detto: “Di lui posso fidarmi fino al punto di affidargli mio Figlio”. Il Figlio era la gioia del Padre. Vi ricordate quando al fiume Giordano Gesù è andato per ricevere il Battesimo dal Battista? Ad un certo momento si è aperto il cielo, è sceso lo Spirito e si è sentita la voce del Padre che diceva: “Questi è il Figlio mio, che amo. Io ve l’ho mandato” (Mt 3,17).  Era come dire: “E’ la mia gioia, il mio tesoro, la mia felicità!”. Dio, il Padre, ha messo tra le mani di Giuseppe la sua felicità, il Figlio suo, perché sapeva che di Giuseppe poteva fidarsi e perché sapeva che il Figlio, venendo nel mondo, cercava qualcuno che si prendesse cura di lui. Per questo, nel prendere in braccio Gesù, Giuseppe ha capito il senso della propria esistenza: io esisto per prendermi cura di Gesù. La diremo tante volte oggi questa espressione “prendermi cura di Gesù” perché è capace di esprimere tutto il senso della nostra esistenza. Tutti noi siamo compresi in questa frase: se io esisto è per prendermi cura di Gesù, la felicità del Padre. Per questo siamo stati creati. S. Tommaso d’Aquino si interrogava e  diceva: “Perché tutto esiste?” e poi dettagliava: “Perché io esisto?” Rispondeva: “Tutto esiste perché Dio è amore e la perfezione del’amore consiste nel condividere con altri la propria felicità”. Condividere con altri la propria felicità spiega l’esistenza di tutto: tu esisti per condividere la felicità di Dio e Gesù è la felicità di Dio. “Questi è mio Figlio, prenditene cura, accoglilo, tienilo con te”. È un gesto di fiducia totale da Parte di Dio e perciò è un gesto che domanda tutto: con tenerezza infinita ed esigentissima Gesù diventa la regola della vita di Giuseppe. Quando noi pensiamo ad una regola, pensiamo a dei regolamenti. Per Giuseppe la regola è Gesù: aveva fame, aveva sonno, voleva uscire, voleva rientrare, c’era da proteggerlo, c’era da portarlo via da Israele perché era perseguitato… Giuseppe era lì e la sua vita era tutta determinata da Gesù. Che bello quando la regola della vita non sono dei regolamenti ma una persona! E’ impegnativo, non lascia fuori niente, ma è ciò di cui il nostro cuore ha bisogno. Il nostro cuore ha bisogno di aderire ad un altro di cui prendersi cura. Tutta la vita è trasformata dalla presenza di Gesù, dal fatto di prendersi cura di lui.
San Giuseppe ha dovuto giocare:
-    l’intelligenza: cosa vuole questo Bambino misterioso da me? Giuseppe ha imparato a pensare davanti a Gesù, a pensare per lui, a pensare con lui, assieme a Maria: non da solo. Questa si chiama obbedienza perché l’obbedienza risponde alla domanda: “Con chi pensi? Con chi ti pensi? Pensi da solo o pensi con qualcuno che per te è importante?”. L’obbedienza è la coniugalità dell’intelligenza: pensarsi sempre con Gesù. Così si muoveva l’intelligenza di Giuseppe: di cosa ha bisogno il Bambino? Cosa posso fare per Lui? Cosa si aspetta da me? Giuseppe si pensava con lui, coniugando tutte le sue domande con la persona di Gesù. Questa è l’intelligenza toccata dalla presenza di Gesù, l’intelligenza che si prende cura di Gesù.
-    gli affetti: Giuseppe impara ad amare il suo bambino e la sua donna come il Padre li ama. Il Bambino era di Dio Padre che lo aveva affidato a lui. Maria era di Dio e l’aveva affidata a lui. Gesù stava con Maria, Maria stava con il Padre: Giuseppe doveva imparare ad amarli così. Riconoscere che l’altro appartiene al Padre ti rende capace di dire veramente “Mio figlio, mia moglie, mio amico, mia madre”. Abbiamo bisogno di dire “mio”, ma è veramente mio ciò che riconosco del Padre. Si chiama verginità.
-    i desideri: Giuseppe non desidera altro se non ciò di cui Gesù e Maria hanno bisogno, se non ciò che Gesù e maria amano. Quando si vuole bene è così: desideri ciò che fa piacere alla persona che ami. Se la persona che ami è Gesù, tutto quello che fai per lui ritorna a te come ricchezza della tua vita. Questa è la “ricca povertà”: ti privi di tutto per fare felice l’altro.
Prendersi cura di Gesù ci insegna ad essere obbedienti, vergini nel cuore e poveri: cioè, educa la nostra intelligenza, il nostro cuore e i nostri desideri. La mia umanità è tutta toccata dalla grazia che Gesù mi è stato affidato e dal compito di prendermi cura di lui. Allora prenditi cura di Lui, accettalo come amico.
Il Padre si è fidato, sapeva che poteva fidarsi di Giuseppe. Il Padre può fidarsi di te? Può fidarsi di me? Sei pronto? Sono pronto a lasciarmi scegliere da Dio per prendermi cura di Gesù? Non è Dio che dubita di te. Lui è sempre aperto, ha questo credito di fiducia verso ogni persona, perché per questo ci ha creati: per affidarci Gesù. Siamo noi a aver paura di lasciare Dio libero di avere fiducia di noi, o a preferire altro. Oggi noi vogliamo sostenerci in questo bel compito: prenderci cura di Gesù.
Come prenderci cura di Gesù in tutto?
a.    Preghiera
Pregare è dire: “Grazie Gesù che sei mio! Cosa posso fare per te? Cosa ti aspetti da me oggi? Come posso prendermi meglio cura di te?” Questo parlare con lui, questo modo di pregare possono farlo tutti, in qualsiasi momento e non solo in chiesa. Lo puoi fare in pullman mentre vieni a scuola, lo puoi fare mentre vai a lavorare o mentre sei all’ospedale ad assistere tuo marito malato, lo puoi fare sempre. Cosa vuol dire pregare, prendendosi cura di Gesù? San Giuseppe ce lo insegna: pregare è stare abitualmente con Gesù; averlo nei pensieri, nel cuore; è parlare sempre con Lui, perché sai che ti vuole bene, perché gli vuoi bene.  Pregare è avere la testa e il cuore pieni di lui. Come potrebbe un padre dimenticarci del figlio che Dio gli ha affidato? Fare compagnia a Gesù abitualmente  è dire a lui: come sto vivendo ti è utile? Nel vivere così mi sto prendendo cura di te o ti faccio soffrire? Ti ringrazio per quello che mi sta accadendo. Aiutami perché non sono capace di fare questo. Sostienimi perché c’è una tentazione da vincere. Vivendo, vivi abitualmente con lui, stai con lui, rimani con lui come un tralcio legato alla vite, come il fiume legato alla sua sorgente. Pregare è stare con lui, sentirtelo dentro, sentirtelo accanto e con lui entrare nell’esistenza: è averlo nei tuoi pensieri, nel tuo cuore perché Lui ti vuole bene e tu gli vuoi bene. San Giuseppe è maestro di preghiera e il Carmelo è il luogo dove la preghiera, capìta così, è come il sapore, il carisma. Gesù ha bisogno della tua compagnia. Pregare è prendersi cura di Gesù.

b. Conoscenza
Come fai a pregarlo se non lo conosci neanche? Come fai a conoscere Gesù? Ci sono i Vangeli, che raccontano di Lui. Leggiamo ogni giorno una pagina di Vangelo. Ve lo propongo come gesto di impegno per questa quaresima e speriamo che duri per tutta la vita. Leggi ogni giorno una pagina di Vangelo, dicendo a Gesù: “Parla Gesù, che il tuo amico ti ascolta. Io sono qui a prendermi cura di te e allora per prima cosa voglio conoscerti di più”. Cominciamo con il Vangelo di Luca che è il vangelo della misericordia e della tenerezza. Così so che non sono solo in questo impegno, ma stiamo camminando insieme. Leggiamo una pagina del Vangelo e tratteniamo ciò che Gesù dice per ciascuno di noi. Alcune parole posso tenerle nel cuore. Pensate che il Signore non ci tenga a dirci qualcosa di importante?
c.Testimonianza
Non vergognarti di Gesù, di essere suo amico: anche pubblicamente, anche in casa tua, anche con gli amici. E’ un dono che il Signore sia presente nella tua vita, è un dono che hai ricevuto, un dono da comunicare anche ad altri, con dolcezza, con pazienza.  Questo dono vive solo se lo comunichi. Scopri Gesù proprio nel momento in cui lo comunichi ad altri, con fierezza. Quando ricevi un regalo ti vien voglia di farlo vedere a tutti. Se non ho voglia di dirlo, vuol dire che non sto conoscendo Gesù, che non me ne sto prendendo cura. L’amicizia di Gesù mi definisce, mi identifica, dice chi sono, mi dà un volto, mi dà un’identità.
2.    Ascensione di Gesù: prendersi cura della Chiesa, Corpo mistico di Gesù.
Proiezione dell’immagine con l’Ascensione (bassorilievo dell’arte catalana del XIII secolo). Il alto si vedono i piedi di Gesù; la nuvoletta attorno indica che sta sta salendo al cielo. Attorno ci sono i discepoli e la Madonna. Gesù  se ne va e i discepoli non sanno neanche dove guardare, perché è salito al cielo, ma ha detto: “Andate”. C’è chi guarda in alto, chi guarda avanti. La Madonna è calma e tranquilla con Giovanni accanto a lei. Lei ha già chiara la missione. L’ha ricevuto sotto la croce: “Prenditi cura del tuo nuovo figlio Giovanni”; e in Giovanni Maria ha cura di tutta la Chiesa, di tutti noi: le reliquie viventi di Gesù. Maria è la Madre degli amici di Gesù, della nostra unità. Adesso che Gesù se ne è andato in cielo, che si è sottratto allo sguardo degli uomini, la scena della storia è riempita dalla presenza dei “suoi”, dall’unità degli apostoli con Maria. La loro unità tiene il posto di Gesù. Gesù se ne va, ma c’è qualcuno che resta: i suoi amici. L’unità dei suoi amici costituisce il Corpo, l’incontrabilità di Gesù oggi.
Frase che accompagna l’immagine
Gesù si sottrae allo sguardo degli uomini; ora la scena della storia è tutta riempita della presenza dei “suoi”: sua madre e i discepoli. La loro unità – e la nostra – parlerà a tutti e per sempre di Lui. Tutti gli uomini hanno diritto a incontrare Gesù: attraverso la nostra amicizia”.
Prendersi cura di Gesù è prendersi cura della Chiesa.
Leggiamo nel vangelo di Giovanni:
“Un altro proverbio dice: ‘Uno semina e un altro raccoglie’. Ebbene si realizza qui! Voi non avete faticato a seminare, eppure io vi mando a raccogliere” (Gv 4,37). E’ come se Gesù dicesse: “Io ho seminato, io mi sono seminato come il chicco di frumento che cade nella terra e muore e porta frutto”. Gesù l’ha fatto e ora sale al cielo. Ora resta il lavoro più facile: il lavoro di raccogliere ciò che è stato seminato. Capite quale simpatia dovremmo avere verso ogni uomo, verso tutto il mondo? Gesù ha seminato se stesso per tutti, è morto per tutti, vive in tutti, e ci dice: Occupatevi di questo, prendetevi cura del frutto che la mia morte e risurrezione hanno portato. Io ho lavorato per voi, io mi sono seminato. A voi tocca raccogliere! È il nostro grande lavoro! Dobbiamo essere cordiali con tutti e avere e una simpatia verso la vita, verso tutti: perché tutti portano dentro la semina che Gesù ha fatto di sé.
Cosa vuol dire prendersi cura di questo? Vuol dire accettare questa missione, questo mandato e farlo nel segno dell’unità e dell’amicizia tra noi.
Nell’immagine proiettata, il gruppo dei discepoli sembra formare una casa, le cui mura sono i discepoli stessi. Le mura di solito chiudono, difendono; invece le mura di questa casa sono persone a braccia aperte. Ogni persona è una porta che dice: “Vieni”. La Chiesa è la casa dove Gesù oggi vive. La Chiesa è la casa dell’amicizia di chi crede in Gesù. Prendersi cura di Gesù, del lavoro che Lui ha cominciato significa prendersi cura della nostra amicizia che è la casa dove tutti hanno diritto ad entrare per incontrare Gesù. La domanda dell’amicizia con Gesù prima ancora del cosa devo fare è: “Dove trovarti?”. Così è stato con i primi discepoli: Maestro, dove abiti? E andarono, videro e rimasero. Oggi tutte le persone hanno il diritto di poter dire: “Dove incontrare Gesù?” e tu puoi rispondere: “Vieni e vedi nella nostra amicizia”. Prendersi cura di Gesù è poter offrire a tutti il diritto di vedere dove abita Gesù. Tutti hanno diritto a incontrare Gesù; la domanda rimane la stessa: “Dove?” Nella Chiesa, nell’amicizia dei suoi: la Chiesa è la casa dell’amicizia di Gesù. Quante amicizie nate dall’amicizia con Lui!
Prendersi cura di Gesù significa prendersi cura della Chiesa, prendersi cura dei “suoi amici”.
Prendiamoci cura della Chiesa, prolungamento di Cristo, vivendo:
a. L’eucaristia
L’Eucaristia, la santa Messa. Dice Papa Francesco: “La Messa non è qualcosa che facciamo noi: non è una nostra commemorazione di quello che Gesù ha detto e fatto. No. E’ proprio un’azione di Cristo, oggi”. Quando andiamo a Messa siamo ancora una volta ai piedi della croce; in quel momento Gesù sta donando la sua vita, grondando sangue per me e per ciascuno di noi. Lì siamo tutti uniti dal suo amore che è più forte di ogni odio e di ogni divisione. Vengono abbattuti i muri che ci separano e diventiamo una cosa sola, grazie alla sua morte e risurrezione. Certo che ci annoiamo se tutto dipende da come il prete fa la predica; ma se sto a Messa come si sta vado sotto la croce, allora sono lì come Giovanni e Maria, attaccato alla croce, attaccato ai piedi di Gesù, per dire: “Perché questo sangue va perso? Questo sangue versato per me?” Allora forse non mi annoio più.
b. L’unità
L’unità è un bene da difendere e preferire, perché solo la nostra amicizia parla di Lui. Questa è la testimonianza più bella e più convincente che Gesù ci ha lasciato: “Da come vi amerete, il mondo capirà” (Gv 17).  “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me, perché tutti siano una sola cosa. Come Tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 18.20-21): la nostra amicizia parla di Lui.
c. Il perdono
Il perdono, da ricevere e da donare, perché la misericordia è il futuro dell’amicizia cristiana. Liberamente entriamo dentro l’invito di Gesù a essere suoi amici, liberamente entriamo dentro il dono dell’unità tra di noi. Non c’è possibilità di amicizia e di amore senza libertà. Ma non c’è libertà senza misericordia. Abbiamo continuamente bisogno di essere rigenerati alla grazia dell’unità, abbiamo bisogno continuamente di ricomporre le divisioni e le rotture che sappiamo generare, soprattutto quelle con coloro a cui vogliamo più bene: “ognuno uccide quelli che ama”. Inevitabilmente fai del male a coloro a cui tieni: lì è più doloroso. Ma l’unità che c’è tra noi è più forte di questo, perché Gesù ricompone queste divisioni. La misericordia sperimentata è il futuro dell’amicizia cristiana.
3.    Opere di misericordia: prendersi cura di ogni uomo
Proiezione dell’immagine con le sette opere di misericordia: Gesù è al centro.
Frase che può accompagnare l’immagine
“C’è un testimone decisivo di ogni atto: Gesù, assieme a Maria e a san Giuseppe. Gesù stesso è il destinatario vero di ogni nostro gesto: dobbiamo imparare a vivere ogni momento della nostra vita consapevoli che ad ogni istante siamo in contatto misterioso con Lui, con la sua persona. Il suo sguardo misura e custodisce il valore e l’utilità di ogni nostra azione. Dimenticare questa mistica unione di Gesù con ogni uomo ci condanna a una vita disumana e eternamente infelice”.
In questo quadro sono descritte le sette opere di misericordia (dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, seppellire i morti, alloggiare i pellegrini, visitare gli ammalati, visitare i carcerati). E’ come dire che dobbiamo prenderci cura dell’uomo, dell’uomo che ha bisogno.
Nella scena centrale del polittico è rappresentato Gesù, seduto sul trono, con accanto Maria e Giuseppe. Gesù guarda e vede tutto quello che tu fai, vede che ti prendi cura dell’uomo che ha fame, dell’uomo che ha sete, dell’uomo che è malato o in carcere. Ricordiamo che nel giudizio finale Gesù dirà: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere…”. “Signore, quando? Io non ho mai fatto queste cose”. Gesù risponde: “In verità io vi dico: ogni volta che avete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli lo avete fatto a me!” (Mt 25, 40.45).
Gesù è il testimone fedele di ogni mio gesto a favore dell’uomo o contro l’uomo, è il destinatario reale di ogni mia azione, il garante dell’utilità vera delle mie opere. E’ Lui che costruisce la tua umanità nel tempo e per l’eternità; se vivi con la coscienza che tutto quello che fai lo stai facendo a Gesù, vedrai come la vita diventa preziosa! Ti manca il respiro, quando capisci quanto è importante quello che fai al tuo prossimo. Non c’è nulla di inutile: stai facendo tutto tra te e Gesù, stai facendo tutto a Lui. Gesù, salito al cielo, ha riempito di sé tutta la realtà. Ma cosa è il cielo. Santa Teresa dice che il cielo - per definizione - è dove Dio abita. Poi si pone la domanda: “Ma, dove abita Dio?” e risponde: “Dio abita dentro di te: il tuo cuore è il cielo dove Dio abita“. Prova a incontrare ogni uomo con la consapevolezza che è abitato da Dio, che Gesù è presente dentro di Lui. La coscienza del mistero che abita in ogni persona dà preziosità a tutto quello che facciamo. Tutto quello che fai è sotto lo sguardo di Gesù che è lì per dirti: “E’ prezioso quello che stai facendo” oppure “E’ doloroso quello che stai facendo”. “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore” (San Giovanni della Croce).
Vi leggo alcune affermazioni del papa:
1. “Il modo di relazionarsi con gli altri che realmente ci risana è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (E.G.92)
Fraternità mistica vuol dire che sa riconoscere il mistero presente nell’altro. La fraternità è mistica perché so che Dio abita in me, che Dio abita in te e questo ci lega. Non siamo estranei perché siamo abitati dallo stesso Dio. Ciò che fai per il prossimo che ha più bisogno acquista una dignità infinita, è un “merito”: ti fa felice da subito e costruisce un’eternità di felicità.

2. “Gesù si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà. Che cos’è questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? E’ proprio il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada. La povertà con la quale Gesù ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio” (Papa Francesco).
Gesù si è fatto povero per amore, per stare vicino a me che sono povero, per essere come me, che sono bisognoso. Il suo modo di amarmi è di essere diventato come sono io: povero. Ha lasciato il Paradiso per venire qui con me. Gesù si è preso cura di noi facendosi povero. Il Papa tira una conseguenza: se tu vuoi prenderti cura delle persone, devi farlo da povero. E’ da poveri che dobbiamo incontrare l’uomo nel bisogno, forti della sola ricchezza utile: quella dell’amore ricevuto da Gesù. Non abbiamo bisogno di altro per prenderci cura delle persone. Non c’è bisogno di mezzi o di capacità straordinarie. Basta sapere di essere amato, basta ricordare che tu hai ricevuto amore! Condividilo! Prova con decisione e tenerezza a farti
Il tempo, l’attenzione, l’ascolto, la solidarietà, la compagnia, la pazienza, l’affetto sono strumenti poveri, il cui unico prezzo è la rinuncia a te stesso per affermare l’altro: prova, fino a che duole, fino a che fa male. E’ la misura realistica dell’amore.
3. “Noi sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la mistica del vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio” (E.G. 87).
Il mondo è caotico, ma aspetta qualcuno che dica: “E’ qui presente il Signore Gesù.  Guarda. Io sono accanto a te”, e comincia a trasformarsi in un santo pellegrinaggio.
Non c’è nessun inferno umano (miseria materiale, morale o spirituale) che non possa essere toccato e salvato dalla “ricca povertà” del nostro amore.  C’è tanta disumanità in giro, c’è tanto inferno nella nostra storia, ma la ricca povertà del nostro amore può trasformare tutto in un santo pellegrinaggio, perché “L’umano arriva dove arriva l’amore” (I. Calvino).
Così è accaduto a noi quando Gesù ha deciso di prendersi cura di noi. Il suo lavoro continua se noi accettiamo di prenderci cura di Lui, della nostra unità e di ogni persona che Lui ci mette accanto.
Padre GIANNI BRACCHI (Trascrizione non rivista dall'Autore)

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