Il 5 giugno 1841 Giovanni Bosco è consacrato Sacerdote dall'Arcivescovo di Torino, mons. Fransoni, nella cappella dell'Arcivescovado.
In quei tempi Torino era ripiena di poveri ragazzi in cerca di lavoro, orfani o abbandonati, esposti a molti pericoli per l'anima e per il corpo. Don Bosco incominciò a radunarli la Domenica, ora in una Chiesa, ora in un prato, ora in una piazza per farli giocare ed istruire nel Catechismo finché, dopo cinque anni di enormi difficoltà, riuscì a stabilirsi nel rione periferico di Valdocco e aprire il suo primo Oratorio.
Nell'Autunno 1844 inizia la "migrazione" dell'Oratorio di don Bosco in diversi luoghi della città: presso l'Opera della Marchesa Barolo, nel cimitero di san Pietro in Vincoli, presso i Molini di città, in casa Moretta, in un prato dei fratelli Filippi. Dovunque i ragazzi sono mal sopportati per il loro chiasso. Don Bosco è sospettato di ribellione alle autorità civili e addirittura di pazzia.
Nel Settembre 1845 quando l'Oratorio è presso i Molini di città, don Bosco fa uno degli incontri fondamentali della sua vita. Lo avvicina un ragazzetto pallido, 8 anni, orfano di padre: Michelino Rua. Diventerà suo braccio destro, e suo successore alla testa della Congregazione Salesiana.
Il 12 aprile 1846 l'Oratorio si trasferisce sotto una tettoia affittata da Francesco Pinardi, in Valdocco. È il giorno di Pasqua, ed è il suo trapianto definitivo.
Nell'Oratorio i ragazzi trovavano vitto e alloggio, studiavano o imparavano un mestiere, ma soprattutto imparavano ad amare il Signore: San Domenico Savio era uno di loro.
Don Bosco era amato dai suoi "birichini" (così egli li chiamava) fino all'inverosimile. A chi gli domandava il segreto di tanto ascendente rispondeva: " Con la bontà e l'amore cerco di guadagnare al Signore questi miei amici". Per essi sacrificò tutto quel poco denaro che possedeva, il suo tempo, il suo ingegno che aveva fervidissimo, la sua salute. Con essi si fece santo.
Da una sua lettera:
"Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu sai se io li amo.Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato nel corso di ben quarant'anni e quanto tollero e soffro adesso,Quanti stenti,quante umiliazioni,quante opposizioni,quante persecuzioni per dare ad essi pane,case,maestri e specialmente per procurare la salute delle loro malattie.
Ho fatto quanto ho saputo e potuto per coloro che formano l'affetto di tutta la mia vita...che cosa ci vuole ancora dunque?"
E la risposta che ha trovato è:
"Che i giovani non solo siano amati ma che essi sappiano di essere amati"
Loro erano poveri...ma ricchi di AFFETTO....L'affetto che traspariva da questo grande santo....
Ecco perchè...
Insieme a Giorgio,mi sono recato qualche mese fa a Torino a Valdocco per poter incontrare Don Bosco e la sua straordinaria vicenda umana....Davanti alla sua tomba ho affidato alla sua protezione anche quel piccolo
gruppo di amici che umilmente vogliono seguire il Signore nella comunità del MEC .
Don Bosco è un'altra immagine della povertà vera in mezzo ai poveri.Una "ricca" povertà .
"Distinguendo tra povertà e miseria abbiamo già un inizio di risposta" Pag .88 di SDC.
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