Una
giovane donna e a una ragazza che sono state capaci di amare i loro
nemici..
Giulia
Iraca, giovane sposa, perdona gli assassini del marito,
benzinaio, ucciso mentre sta per aprire la porta di casa rientrando
la sera. Giulia, si riscopre cristiana di fronte allo sposo morto
ammazzato. Davanti allo strazio del corpo esanime del marito,
abbraccia i figli e li invita a pregare per il papà e gli assassini
e dedica la vita a predicare il Vangelo del perdono. Ecco il suo
racconto.
"Come Gesù perdonò i crocifissori, intercedendo per loro presso il Padre con le parole: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno! " (LC 23,34), anch'io, la sera dell'8 aprile 1987, trovandomi di fronte ad un uomo - mio marito - privo di vita (perché numerosi colpi di pistola avevano orribilmente sfigurato il suo volto e trafitto il suo cuore) e circondata dai miei tre figli trovai la forza di a abbracciarli, dicendo: "Per papà non c'è più niente da fare: è in Cielo! Preghiamo per lui e per coloro che lo hanno ucciso".
Nessuno, impietosito dalle grida di dolore e dai singhiozzi delle mie due figlie (13 e 11 anni), veniva in nostro soccorso. Eravamo sole, travolte da un dolore che ci avvolgeva. Disperazione, grida, dolore cocente, sdegno: questi erano i sentimenti alimentati dai parenti e dagli amici.
Compresi in quella tragica occasione che il perdono è il primo messaggio che Gesù aveva rivolto ai propri crocifissori! Perdonare non significa dimenticare; anzi è proprio il ricordo del torto subito e del dolore provato che rende più grande e meritevole la pratica del perdono.
Il Signore si è servito di questo tragico evento per trasformare totalmente la mia vita, per abbattere in me l'egoismo, l'orgoglio e le fatue certezze a cui il mondo si aggrappa ostinatamente. Nello stesso tempo Gesù faceva strada gradualmente e silenziosamente nella mia anima ferita, chiamandomi ad una vita più perfetta e più profondamente radicata in Lui. I
Letizia Tripodi, 24 anni, vive ad Archi, vicino a Reggio Calabria. Racconta la sua storia:
Diciannove anni fa veniva ucciso mio padre e io coi miei due fratelli, ero privata del suo sorriso. Più il tempo passava, più la ferita, invece di rimarginarsi, mi faceva male. Sentivo crescere dentro di me un sentimento di odio verso tutti e verso tutto, che mi toglieva la gioia dal cuore. lo soffrivo, e anche gli altri soffrivano, tanto meglio! Pregavo Dio che mi facesse morire. E siccome Dio mi lasciava vivere, ho finito col prendermela anche con Lui..
Poi, un giorno, ho letto il comando di Gesù: "Ma io vi dico, amate i vostri nemici". Dopo aver sperimentato che la vera felicità per me stava nel perdonare, è caduto per sempre quel velo nero che non mi permetteva di vedere la sofferenza degli altri...
Il perdono da solo, però, non basta. Dopo il perdono ci vuole l'impegno per migliorare la società in cui ognuno di noi vive. Dopo aver perdonato mi sono guardata intorno, ho visto come vive la mia gente e ho capito che Dio voleva qualcos'altro da me... scelte concrete di pace.
"Come Gesù perdonò i crocifissori, intercedendo per loro presso il Padre con le parole: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno! " (LC 23,34), anch'io, la sera dell'8 aprile 1987, trovandomi di fronte ad un uomo - mio marito - privo di vita (perché numerosi colpi di pistola avevano orribilmente sfigurato il suo volto e trafitto il suo cuore) e circondata dai miei tre figli trovai la forza di a abbracciarli, dicendo: "Per papà non c'è più niente da fare: è in Cielo! Preghiamo per lui e per coloro che lo hanno ucciso".
Nessuno, impietosito dalle grida di dolore e dai singhiozzi delle mie due figlie (13 e 11 anni), veniva in nostro soccorso. Eravamo sole, travolte da un dolore che ci avvolgeva. Disperazione, grida, dolore cocente, sdegno: questi erano i sentimenti alimentati dai parenti e dagli amici.
Compresi in quella tragica occasione che il perdono è il primo messaggio che Gesù aveva rivolto ai propri crocifissori! Perdonare non significa dimenticare; anzi è proprio il ricordo del torto subito e del dolore provato che rende più grande e meritevole la pratica del perdono.
Il Signore si è servito di questo tragico evento per trasformare totalmente la mia vita, per abbattere in me l'egoismo, l'orgoglio e le fatue certezze a cui il mondo si aggrappa ostinatamente. Nello stesso tempo Gesù faceva strada gradualmente e silenziosamente nella mia anima ferita, chiamandomi ad una vita più perfetta e più profondamente radicata in Lui. I
Letizia Tripodi, 24 anni, vive ad Archi, vicino a Reggio Calabria. Racconta la sua storia:
Diciannove anni fa veniva ucciso mio padre e io coi miei due fratelli, ero privata del suo sorriso. Più il tempo passava, più la ferita, invece di rimarginarsi, mi faceva male. Sentivo crescere dentro di me un sentimento di odio verso tutti e verso tutto, che mi toglieva la gioia dal cuore. lo soffrivo, e anche gli altri soffrivano, tanto meglio! Pregavo Dio che mi facesse morire. E siccome Dio mi lasciava vivere, ho finito col prendermela anche con Lui..
Poi, un giorno, ho letto il comando di Gesù: "Ma io vi dico, amate i vostri nemici". Dopo aver sperimentato che la vera felicità per me stava nel perdonare, è caduto per sempre quel velo nero che non mi permetteva di vedere la sofferenza degli altri...
Il perdono da solo, però, non basta. Dopo il perdono ci vuole l'impegno per migliorare la società in cui ognuno di noi vive. Dopo aver perdonato mi sono guardata intorno, ho visto come vive la mia gente e ho capito che Dio voleva qualcos'altro da me... scelte concrete di pace.
vietnamita
prigioniero per 14 anni(dal 1975 al 1989) sotto il regime comunista a
Saigon.
Con
la forza e la fatica del suo amore per i nemici è riuscito a
trasformarli...
Così
ha raccontato una volta:
“A
Saigon i comunisti hanno conquistato la città e mi hanno rinchiuso
in carcere,
senza
processo, senza una spiegazione: mi hanno tolto i miei sacerdoti, i
miei
religiosi
e le religiose, i miei giovani, il mio titolo di Arcivescovo. Ero
solo il signor
Van
Thuan e non potevo neppure parlare con gli altri prigionieri, per non
influenzarli.
Avevo solo le mie guardie, i miei carcerieri, che prima cambiavano
ogni
quindici giorni, ma poi hanno visto come mutavano atteggiamento nei
miei
confronti
e così hanno deciso di mettermi delle guardie fisse, per non
influenzarle
tutte. Ma amavo loro, perché in loro vedevo Gesù! Molte volte mi
chiedevano
come facessi ed io rispondevo loro: "Vi amo perché Gesù vi
ama!".
Amare,
riconciliare, perdonare: sono queste le tre parole che possono
costruire
la
pace. (…)E se in carcere non potevo pregare, allora il Signore
addirittura mi
ha
mandato un comunista che pregava per me: un poliziotto mi ha chiesto
di
imparare
un canto in latino e, tra i tanti, ha scelto il "Veni Creator".
Così, quando
faceva
ginnastica, tutte le mattine, cantava il "Veni Creator" ed
io pregavo con il
suo
canto. Anche un altro poliziotto, un colonnello, prima di tornare a
casa, mi
aveva
promesso che avrebbe pregato per me nel santuario che aveva a tre
chilometri
dalla sua abitazione. Tempo dopo, ricevo (in carcere!) una lettera di
questo
poliziotto che mi raccontava di come ogni domenica, quando non
pioveva,
prendesse la bicicletta per andare al santuario. E mi scrive la
preghiera
che
diceva, perché non voleva sbagliare: "Non so come pregare, ma
dagli
quello
di cui ha bisogno". Non vedo quale preghiera più bella poteva
dire per
me!
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