martedì 21 giugno 2016
Solo i malati guariscono – L’umano del (non) credente”, il nuovo libro di don Luigi Maria Epicoco, giovane filosofo e teologo, pubblicato dalle Edizioni San Paolo....lo sto leggendo....molto bello!
Aiutare “a sviluppare uno sguardo nuovo sulla propria umanità, facendo eco alle parole di Gesù di essere venuto per i malati e non per i sani”. È questo l’obiettivo di “Solo i malati guariscono – L’umano del (non) credente”, il nuovo libro di don Luigi Maria Epicoco, giovane filosofo e teologo, pubblicato dalle Edizioni San Paolo. “Fin da piccoli – scrive l’autore – facciamo esperienza dei sentieri di ritorno. Alcuni le chiamano delusioni. A me piace chiamarle esperienze di autenticità”. Don Epicoco sceglie come “pretesto” l’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus “per riscoprire – si legge in una nota – tutto l’umano che c’è alla base di ogni esistenza, quella di chi è su un percorso di fede e quella di chi sperimenta l’incredulità”. Nella prima parte del volume sono affrontate cinque tematiche: autenticità, amicizia, inquietudine, senso e nostalgia, che “conducono il lettore a riscoprire la positività di quella che i più considerano una malattia, ovvero l’essere umani con tutta la fragilità che ciò comporta”. Nella seconda parte “è offerta una riflessione teologica a partire da quattro immagini: locanda/Chiesa; tavola/condivisione; spezzare il pane/fede; tornare indietro/annuncio”.
“Ho molti amici che non hanno la fede, ma non ne ho nessuno che non abbia mai provato l’inquietudine, la delusione, quelle che io chiamo ‘esperienze di autenticità’. Ci hanno insegnato che l’umanità è qualcosa di brutto e noi dobbiamo guarire da questa malattia che è l’umanità. Credo, invece, che sia proprio dall’accettazione della nostra umanità che possiamo partire per capire qualcosa di noi stessi e forse anche di Dio”. Ad affermarlo è don Luigi Epicoco, sacerdote della diocesi de L’Aquila, docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense, e autore del volume ‘Solo i malati guariscono. L’umano del non credente', edito da San Paolo. “Il punto di partenza di questo libro, che è anche un po’ il punto di partenza della mia idea di cristianesimo – spiega – è che per capire qualcosa di Dio bisogna iniziare a prendere sul serio la propria umanità, perché Cristo si è fatto carne, si è incarnato. Ed è lì, forse, la chiave di lettura di tutto”.
I
In cammino da Gerusalemme a Emmaus
Nel testo, don Epicoco, fonda le sue riflessioni sulle pagine del vangelo di Luca dedicate ai discepoli di Emmaus. “La bellezza di quell’episodio - spiega - è che mi sembra diviso in due tempi. Un primo tempo dedicato ai ‘non credenti’ e un secondo tempo in cui subentra la fede. Nella prima parte c’è, infatti, un Cristo ‘straniero’, che così viene percepito dai discepoli delusi che stanno tornando a casa. Ed è interessante il dialogo che si viene a creare tra Gesù e questi discepoli delusi e inquieti”.
La tentazione di sentirsi "sani"
Il titolo del volume “Solo i malati guariscono”, richiama le parole di Papa Francesco sulla Chiesa come ‘ospedale da campo’, ma anche la condizione di coloro incapaci di riconoscersi peccatori. “Sentirsi giusti, quindi non peccatori, non malati, è una tentazione insita dentro ognuno di noi”, spiega Epicoco. “E’ un po’ un’insicurezza, mascherata da bullismo. E’ una forma di rigidità che nasconde invece un grande vuoto. Bisogna avere molta misericordia e tenerezza per guardare a quella parte un po’ ‘farisaica’ che è seppellita dentro ognuno di noi e capire che nasce dalla nostra insicurezza. Dal nostro bisogno di schemi e quindi dal bisogno di negare la nostra umanità per stare al mondo”.
La forza dei deboli
“E’ l’amore di Dio che ci dà la forza di ammettere la nostra debolezza e di arrivare a dire, con San Paolo, è quando sono debole che sono forte. E’ questo un cammino di riconciliazione con se stessi, con la propria umanità, che poi ci fa abbassare le nostre difese e ci rende meno ‘farisei’ e più umani”. “Solo così - spiega Epicoco - si capisce qualcosa di più di Gesù Cristo che sedendo a tavola con i peccatori, frequentando gente poco raccomandabile, ricorda a tutti noi che le persone non sono quello che fanno. In ogni persona c’è infatti un uomo seppellito che va riscoperto, ritirato fuori. E Gesù è come se puntasse costantemente lo sguardo sull’uomo nascosto in ognuno di noi, anche quando siamo diventati dei peccatori incalliti”.
I "misericordiati"
Nel volume Epicoco si sofferma sul concetto al centro del Giubileo straordinario voluto da Papa Francesco: la misericordia. “In fin dei conti – racconta - ciascuno di noi può parlare di Dio solo in quanto ha fatto un’esperienza di misericordia, ha visto cioè che qualcuno ha messo il suo cuore dentro la nostra miseria. Noi siamo stati abituati a vedere giudicata la nostra miseria. A vedere che qualcuno la cataloga, la analizza per farne quasi l’autopsia. L’esperienza di misericordia è invece proprio sentirsi amati lì dove noi sperimentiamo di più la nostra fragilità. E se la misericordia è il cuore di Dio dentro la nostra miseria, i “misericordiati” sono proprio coloro che nelle loro ferite hanno sperimentato di più il sentirsi amati e voluti”.
Una storia di misericordia
Don Epicoco è cappellano universitario a L’Aquila e ha vissuto da vicino la tragedia del terremoto del 2009. “Nel libro racconto una storia di misericordia che mi ha fatto male ricordare ma che credo possa insegnarci molto. Quella di un giovane che era arrivato al punto di odiare il padre per la fragilità e la debolezza di questo genitore che aveva distrutto la sua famiglia per il vizio del gioco. Un padre che poi, la notte del terremoto, compì il gesto estremo di salvargli la vita. Un padre che morì sotto la macerie per salvarlo dal crollo dell’edificio. In quell’istante, quel giovane capì chi era suo padre. Un uomo che aveva sbagliato molto, ma che nel momento più importante era stato disposto a morire per salvare la vita di suo figlio”. “Quel giovane, il giorno dei funerali del padre, si sentiva in colpa perché non gli aveva mai detto che in fondo l’aveva perdonato. Non si era accorto però che in quel gesto di salvargli la vita, il padre aveva già accolto in maniera tacita il suo perdono”.
(Fabio Colagrande)
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