domenica 30 marzo 2014

Aprire gli occhi della fede per credere in Cristo -Padre Raniero Cantalamessa


IV Domenica di Quaresima


Giovanni 9, 1-41


IL CIECO NATO


La guarigione del cieco nato ci riguarda da vicino, perché, in un
certo senso, siamo tutti dei… ciechi nati. Il mondo stesso è nato cieco.
Stando a quello che ci dice oggi la scienza, per milioni di anni c’era
la vita sulla terra, ma era una vita allo stato cieco, non esisteva
ancora l’occhio per vedere, non esisteva il vedere stesso. L’occhio,
nella sua complessità e perfezione, è una delle funzioni che si sono
formate più lentamente. Questa situazione si riproduce in parte nella
vita di ogni singolo uomo. Il bambino nasce se non proprio cieco, almeno
incapace ancora di distinguere i contorni delle cose. È solo dopo
qualche settimana che comincia a mettere a fuoco le cose. Se il bambino
fosse in grado di esprimere quello che prova quando comincia a vedere
chiaramente il volto della mamma, le persone, le cose, i colori, che
“oh!” di meraviglia si ascolterebbe! Che inno alla luce e alla vista! Il
vedere è un miracolo. Solo che non ci facciamo caso perché ci siamo
abituati e lo diamo per scontato. Ecco allora che Dio a volte opera la
stessa cosa in modo repentino, straordinario, così da scuoterci dal
nostro torpore e renderci attenti. È quello che fece con la guarigione
del cieco nato e di altri ciechi nel Vangelo.


Ma è solo per questo che Gesù guarisce il cieco nato? C’è un altro
senso in cui noi siamo nati ciechi. C’è un altro occhio che deve ancora
aprirsi nel mondo, oltre quello materiale: l’occhio della fede! Esso
permette di scorgere un altro mondo al di là di quello che vediamo con
gli occhi del corpo: il mondo di Dio, della vita eterna, il mondo del
Vangelo, il mondo che non finisce neppure con la…fine del mondo.



Questo ha voluto ricordarci Gesù con la guarigione del cieco nato.
Anzitutto, egli invia il giovane cieco alla piscina di Siloe. Con ciò
Gesù voleva significare che questo occhio diverso, della fede, comincia
ad aprirsi nel battesimo, quando riceviamo appunto il dono della fede.
Per questo nell’antichità il battesimo si chiamava anche “illuminazione”
e essere battezzati si diceva “essere illuminati”.


Nel caso nostro non si tratta di credere genericamente in Dio, ma di
credere in Cristo. L’episodio serve all’evangelista per mostrarci come
si arriva a una fede piena e matura nel Figlio di Dio. Il recupero della
vista da parte del cieco procede infatti di pari passo con la sua
scoperta di chi è Gesù. All’inizio, per il cieco Gesú non è che un uomo:
“Quell’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango…”. Più tardi alla
domanda: “Che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”, ed
egli risponde: “È un profeta!”. Ha fatto un passo avanti; ha capito che
Gesù è un inviato da Dio, che parla e opera in nome di lui. Infine,
incontrando di nuovo Gesú, gli grida: “Io credo, Signore!” e si prostra
dinanzi a lui per adorarlo, riconoscendolo così apertamente come suo
Signore e suo Dio.


Descrivendoci così dettagliatamente tutto ciò, è come se
l’evangelista Giovanni ci invitasse molto discretamente a porci la
domanda: “E io, a che punto sono di questo cammino? Chi è Gesù di
Nazaret per me?”. Che Gesù sia un uomo nessuno lo nega. Che sia stato un
profeta, un inviato da Dio, anche questo è ammesso quasi
universalmente. Molti si fermano qui. Ma non basta. Anche un musulmano,
se è coerente con quello che trova scritto nel Corano, riconosce che
Gesù è un profeta. Ma non per questo si considera un cristiano. Il salto
mediante il quale si diventa cristiani in senso proprio è quando si
proclama, come il cieco nato, Gesù “Signore” e lo si adora come Dio. La
fede cristiana non è primariamente credere qualcosa (che Dio esiste, che
c’è un al di là…), ma un credere in qualcuno. Gesù nel Vangelo non ci
da una lista di cose da credere; dice: “Abbiate fede in Dio e abbiate
fede in me” (Gv 14,1). Per i cristiani credere è credere in Gesù Cristo. 


Padre Raniero Cantalamessa


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