mercoledì 29 dicembre 2021

Imparare a pregare (Don Luigi Epicoco)

Ho trovato in rete questa bellissima meditazione di don Luigi Epicoco..."L'unico modo per imparare a pregare è..pregare" Donami un cuore che prega - Trascrizione della catechesi di don Luigi Maria Epicoco
  Ho pensato questa sera con voi di fare un itinerario, così, di lasciarvi una traccia, con una piccola premessa. La premessa è questa, e cioè che tutte le volte che noi facciamo questo tipo di iniziativa - che è un po’ tracciare una scuola di preghiera - che possa aiutare un po’ a prendere contatto con questa bellissima esperienza della preghiera, che è un po’ come il respiro per un cristiano. Cioè, una persona che prega, è una persona che respira, una persona che non prega è come se sta costantemente in apnea, vive nella disperazione della mancanza di fiato, nella mancanza di ossigeno. C’è una saturazione proprio dell’anima che viene dall’assenza della preghiera. Quando una persona prega, quando un cristiano prega, funziona, funziona fino in fondo. Quindi per noi la preghiera non è un hobby, non è qualcosa di cui possiamo fare a meno,  ma fa parte di quel minimo sindacale che ci riguarda come cristiani, prima di tutto il resto, prima di ogni cosa. Tanto è vero che la cosa che colpisce di più dei vangeli, a nostro avviso, dovrebbero essere i grandi segni, i miracoli…. ma c’è qualcosa che è come un sottofondo, che accompagna un po’ tutta la vicenda di Gesù, ed è la sua capacità di pregare, in circostanze anche molto diverse tra di loro: fa dei miracoli, e poi si allontana, passa la notte in preghiera; prima di far risuscitare Lazzaro prega e prega anche così come abbiamo ascoltato anche adesso, poche ore prima di entrare nel momento clou della sua esistenza, che sono le ore della passione e della croce. La sua passione la inizia pregando, pregando nell’orto degli ulivi, cercando ancora una volta quel rapporto col Padre, quel desiderio della volontà di Dio. Quindi “il Gesù che prega”, in fondo, è forse il segreto di Gesù. Noi cristiani non possiamo fare a meno di imparare la preghiera, di dire qualcosa che abbia a che fare un po’ con questo grande argomento della preghiera; però, vi dicevo all’inizio, con questa premessa: non esiste una tecnica. Dobbiamo rifuggire la mentalità che ci vuole vendere la preghiera come una tecnica. Quale è la differenza: se noi diciamo che la preghiera è una tecnica, basta semplicemente applicare una sorta di indicazioni, di regole, e pensiamo che basta stare a quelle regole per ottenere un risultato. Magari fosse così! In realtà non è così perché la preghiera non può essere ridotta a una tecnica, perché la preghiera è una relazione. E le relazioni sono imprevedibili, soprattutto ci coinvolgono in maniera molto profonda, non possono essere racchiuse in una formula; e hanno bisogno invece di imparare a regolarci di volta in volta, a capire che cosa è giusto in quel momento. Quindi una scuola di preghiera, in fondo, ci insegna una cosa molto importante: che non esiste una scuola di preghiera, cioè che non esiste un modo attraverso cui noi sicuramente impareremmo a pregare, ma esiste qualcosa che dovrebbe farci venir voglia di pregare. L’unico modo per imparare a  pregare è: pregare. Non ci sono altri modi. Quindi per tentativo, per esperienza, perché ci proviamo e ci riproviamo, ogni giorno, a volte sbagliando, a volte deragliando, a volte paganizzando, perché c’è questo fantasma costante di usare un atteggiamento pagano nella preghiera che va purificato, di volta in volta, con molta misericordia. Ma noi non conosciamo nessun altro modo di progredire nella preghiera se non pregando. Leggere molti libri sulla preghiera non aiuta la preghiera. Fare molti corsi sulla preghiera non aiuta la preghiera quanto, invece, pregare, provare a pregare, tentare di pregare. Un buon libro che vuole insegnare la preghiera deve far venire voglia di pregare, non sostituirsi. Una buona scuola di preghiera deve far  venire il desiderio di cominciare questo tentativo della preghiera. Pregare è “provare a pregare”, come l’amore, per noi cristiani, è “provare ad amare”, anche quando non ci riusciamo, ma noi dobbiamo provarci costantemente. Bene, il punto di partenza, io credo, per avere un cuore che prega – ed è una preghiera, veramente, domandare al Signore di donarci un cuore che prega – è comprendere quello che ci ha insegnato in maniera mirabile S. Agostino quando ci ha detto che l’inizio vero della preghiera è il desiderio. Che cosa significa, fondamentalmente: che il primo modo di iniziare a pregare è desiderare di pregare, è coltivare dentro di noi questo desiderio. Vedete, amici, non è scontato che dal desiderio si passi poi al fatto. Però è importante il desiderio. Cioè, pregare non può essere un incidente; non può essere semplicemente qualcosa che a un certo punto la vita ci costringe a fare… Avete presente quando magari dopo tanto tempo che non abbiamo una vita cristiana, dobbiamo partecipare a un funerale o a un matrimonio o a un battesimo… siamo un po’ costretti a pregare… in quelle circostanze cerchiamo di ricordare delle formule, di dire delle parole…. No, io credo che c’è una fase, e questa è una fase proprio della vita spirituale. E quando dico che è una fase della vita spirituale sto dicendo che è lo Spirito che sta facendo questa cosa dentro il nostro cuore. Quando lo Spirito vuole insegnarci a pregare, la prima cosa che fa crescere dentro di noi è il desiderio della preghiera. Solitamente, però, questo desiderio della preghiera poi si scontra con che cosa? Con il nostro peccato originale, con le ferite del nostro peccato originale. La ferita più grande del nostro peccato originale, che ci portiamo tutti addosso, è la ferita del nostro “IO”.  Cioè, il nostro “io” solitamente riempie tutto lo spazio e impedisce l’ingresso di qualunque altra esperienza, persino l’esperienza dell’amore. Ad esempio, una persona che è molto concentrata sul proprio io, cioè ha un “IO” che ha preso tutto lo spazio, in italiano si usa la parola egoista; però solitamente quando usiamo la parola egoista ne diamo subito un’accezione morale, moralistica. Invece vorrei dire che una persona che è centrata su di sé non trova spazio nemmeno per amare, perché per poter amare tu devi diminuire, devi fare spazio all’altro. Per poter amare tu devi far rimpicciolire il tuo “io” perché se il tuo io riempie tutta la stanza del tuo cuore, non può entrare nessuno dentro quel cuore. Ecco allora perché - se in quella stanza c’è tanto del nostro io, che fa da impedimento, c’è tanta della nostra esperienza che fa da impedimento; ci sono le nostre ferite che impediscono la preghiera - il primo modo attraverso cui si crea una crepa dentro quel pieno del nostro cuore è esattamente il desiderio. DESIDERARE. Desidero ma non ci riesco. Allora, se voi che mi state ascoltando avete un grande desiderio di preghiera, ma non state riuscendo ancora a pregare veramente, questa non è una brutta notizia…. Significa che lo Spirito sta iniziando dentro di voi un percorso, un cammino. Quanto durerà questo desiderio prima di diventare un fatto? Non lo so, ve l’ho detto prima, non è una tecnica. Magari per molti anni ci terremo semplicemente una nostalgia di preghiera, un desiderio di Dio e non riusciremo mai a farlo diventare davvero una fedeltà, un’esperienza forte che possa attraversare la nostra vita. Ma dobbiamo coltivare questo desiderio. Non dobbiamo smettere di desiderare questa cosa. Un po’ come quando nella vita a un certo punto sentiamo l’unica cosa che potrebbe riempire la nostra esistenza sarebbe amare qualcuno. Però non abbiamo nessuno da amare, cioè non ci accorgiamo che nella nostra vita c’è una persona in particolare da amare e chiediamo questo amore, desideriamo con tutte le nostre forze qualcuno da amare, una persona specifica con cui costruire una relazione unica, irripetibile, esclusiva. Ecco, se viene meno questo desiderio dell’amore, allora non daremo a nessuno mai l’occasione di entrare davvero  dentro la nostra vita e di amarci. Ecco, nella preghiera funziona anche in questo modo. Prima però vi ho detto che, in realtà, il più grande impedimento alla nostra di preghiera è il nostro “io”. Padre Pio ci insegna, in fondo – ma non solo lui – queste figure di santità così essenziali ci ricordano che la conditio sine qua non, cioè la condizione minima per poter dire che noi possiamo vivere davvero una vita spirituale e imparare a pregare è l’umiltà. E che cos’è l’umiltà? L’umiltà è la capacita di saper ridimensionarsi, cioè di scoprire di nuovo la nostra vera dimensione. Le persone umili sono coloro che in fondo hanno ritrovato la loro giusta dimensione perché hanno preso contatto con la propria miseria, conoscono i propri limiti, hanno fatto esperienza di quanto valgono e non vivono questo come una frustrazione ma spalancano l’esperienza della loro miseria all’amore di Dio. Gli umili sono le persone concrete che non sono concrete solo perché sono pratiche, sono concrete perché concretamente conoscono se stessi, conoscono che cosa li aiuta e che cosa li ferma; conoscono le loro potenzialità e le loro mancanze. Le persone umili sono quelle che riescono a indicare, in maniera molto precisa, chi sono loro. E questo, vedete, non si apprende per riflessione, si apprende, purtroppo, per trauma, perché l’umiltà la impariamo sbagliando; soprattutto quando facciamo l’esperienza del peccato ci accorgiamo di toccare in maniera violenta, traumatica i nostri limiti. E siccome noi perdiamo molto tempo quando incontriamo i nostri limiti – a sentirci in colpa, a giudicarci – ci dimentichiamo una cosa che sta per accadere tra poche ore, e cioè che Gesù morendo in croce ci ha liberato dalla colpa e noi non dobbiamo perdere tempo a sentirci in colpa ma dobbiamo fare tesoro persino delle nostre esperienze di peccato affinché ciascuno di noi possa conoscere se stesso, conoscere come è fatto, conoscere ciò che lo aiuta, ciò che lo avvantaggia, ciò che lo limita. Ad esempio una persona che ha come limite il voler affermare eccessivamente se stesso – pensate, non so, alla vanagloria, a una forma di dipendenza, ecc. – finché tu non ne hai consapevolezza rimani sempre incastrato in situazioni della vita dove tutto questo ti impedisce di progredire, di andare avanti. Se tu conosci te stesso, riesci anche a prendere le giuste misure, a capire come devi comportarti in questo senso. Ecco, se l’inizio della preghiera è il desiderio di pregare, il secondo passaggio è capire che per poter pregare dobbiamo accettare di conoscere noi stessi, dobbiamo imparare l’umiltà,  dobbiamo imparare a lasciarci educare anche dai nostri limiti, dalle nostre cadute. Dobbiamo liberare anche la nostra fragilità dal senso di colpa e lasciare che le nostre cadute possano darci una lezione, perché ci insegnano, in fondo, chi siamo e chi siamo in questo momento, i nostri “più” e i nostri “meno”, le cose belle e le cose brutte, la luce e l’ombra che ci abita. Ma le persone umili sono anche quelle che comprendono che si può vivere la preghiera a patto che la preghiera sia una relazione. Sapete perché questo è importante? Perché noi viviamo in un momento storico dove c’è una grande domanda di spiritualità. Ma questa domanda di spiritualità non è cristiana perché è un’espressione del nostro individualismo. Cerco di spiegarmi e di essere molto concreto. La gente vuole imparare a pregare perché vuole stare meglio, vuole pregare per ritrovare un benessere. Vorrebbe una vita spirituale perché vuole pacificarsi, vuole tenere sotto controllo la propria vita, vuole rasserenarsi. In tutto ciò – e non c’è niente di male nel far questo -  non c’è niente di cristiano. Perché? Perché la preghiera non è fatta per donarci il benessere. Al massimo quella è una conseguenza della preghiera, ma non è il motivo della preghiera. La preghiera è un modo di stare in relazione con qualcuno che ami. Se tu sei concentrato su te stesso, tu cerchi la preghiera per star bene tu, ma non ti interessa dell’altro. Vuoi l’altro, ad esempio vuoi l’incontro con Dio, vuoi l’incontro con Gesù, perché vuoi pregare Gesù e vuoi piegare Gesù e vuoi piegare Dio ai tuoi bisogni, al tuo desiderio di trovare benessere, di star bene, di pacificarti. Invece la rivoluzione della preghiera è che a un certo punto tu smetti di pensare a te, non sei più la cosa più interessante in quella relazione, perché quando tu ami qualcuno, tu smetti di essere interessante. E che cosa diventa interessante? L’altro, chi c’hai di fronte, quella persona che stai amando: quella persona diventa la cosa più interessante per te. Allora noi possiamo dire di aver sperimentato l’amore nella vita quando abbiamo sperimentato una relazione che ci ha distratti da noi, da noi stessi e ci ha fatto concentrare fuori da noi stessi verso qualcun altro. La preghiera cristiana è focalizzare che la cosa più importante per noi non è star bene noi ma è scoprire il volto di questa persona che diciamo di amare e che nella preghiera vogliamo cominciare a esprimere in una relazione concreta e precisa. Ecco, io mi fermo mezzo secondo su questa immagine perché in realtà penso che tutti noi siamo un po’ vittime di questo fraintendimento della preghiera. E dico che ne siamo vittime perché a un certo punto, ad esempio, pensiamo che non siamo capaci di pregare semplicemente perché, magari, pregando non otteniamo quello che avevamo in mente quando abbiamo iniziato a pregare. Una persona dice: “Io oggi….. questa adorazione non è servita a niente perché… non ho sentito niente durante questa adorazione”. Ma lo scopo dell’adorazione non era che tu sentissi qualcosa; tu sei andato lì per Qualcuno, non sei andato lì per te stesso; non sei andato lì per trovare qualcosa che aiutasse te, ma sei andato lì spinto dal desiderio profondo di incontrare qualcuno che ami. A volte i nostri percorsi, anche le nostre proposte, possono diventare terribilmente un modo di essere ripiegati su noi stessi. E Gesù, Dio, la Madonna, i Santi.. sono semplicemente un modo per celebrare noi stessi, per essere concentrati su noi stessi. Quindi finché noi non convertiamo questa visione della preghiera, vorremmo soltanto imparare tecniche di rilassamento, di meditazione: yoga di matrice cristiana, modi per calmare l’ansia… ma questa non è la preghiera cristiana, tanto è vero che se noi ci andiamo a prendere tutti i brani del vangelo in cui Gesù ci spiega la preghiera, unisce sempre l’esperienza della preghiera a due cose importanti: dice che una preghiera è efficace a patto che sia unita all’elemosina e al digiuno. Ora anche qui non è una tecnica che ci sta insegnando Gesù, ma ci sta dicendo una cosa molto importante: affinché la nostra preghiera non diventi rischiosamente un modo per essere ripiegati su noi stessi, noi dobbiamo esercitare l’elemosina. Che cos’è l’elemosina? Accorgerti del dolore dell’altro, del bisogno dell’altro, del dolore del fratello. Se tu non coltivi un profondo senso di empatia, di coinvolgimento – usiamo la parola giusta - di compassione nei confronti della vita delle persone che il Signore ti ha messo accanto, tu non puoi pregare. Se tu sei cinico, freddo, indifferente rispetto alle persone che hai accanto, puoi frequentare tutte le scuole di preghiera del mondo, puoi dire tutte le formule del mondo, ma tu non stai pregando; perché l’unica cosa che ti aiuta davvero ad entrare nella preghiera è cominciare a smettere di essere indifferente al dolore, al bisogno dell’altro. L’elemosina non è semplicemente dare qualcosa da mangiare a qualcuno, ma è considerare attorno a me la sofferenza, il dolore, e il bisogno dell’altro. Chi esercita l’elemosina deve poter essere attento a chi c’ha di fianco. Se tu non coltivi questo atteggiamento compassionevole intorno a te, non puoi nemmeno pregare. La seconda caratteristica che Gesù unisce per una buona preghiera è il digiuno. Anche qui, se tu passi la vita a riempire semplicemente i tuoi vuoti – e solitamente noi usiamo il cibo per riempire i nostri vuoti (è il nostro modo principale e non è l’unico: a volte abbiamo relazioni tossiche, modi sbagliati di vivere la sessualità….però sono tutti tentativi di riempire un vuoto). Finché tu non impari a digiunare, cioè ad accettare che tu hai un vuoto, una mancanza, a saper abitare quel vuoto e quella mancanza, se tu continui invece ad essere sempre dipendente da qualcosa che deve riempire quel vuoto, non si può dare nessuna preghiera per te perché, in realtà, la preghiera per te inizia quando tu accetti quel vuoto, quando accetti di essere mancante, di essere bisognoso. Il diavolo nel deserto, quando tenta Gesù, lo tenta esattamente su questo: Gesù ha fame. Dice il racconto del vangelo che dopo quaranta giorni Gesù ebbe fame; e quindi avverte un bisogno Gesù, avverte una fame. Cosa fa il demonio? Dice a Gesù: “riempi subito quella fame, quel vuoto. E fallo in tutti i modi possibili e immaginabili, Tu che tutto puoi e che sei onnipotente, prendi delle pietre e trasformale in pane e riempi quel vuoto”. E che cosa risponde Gesù? “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, che è un po’ come dire: se io voglio ascoltare Dio, devo ascoltare questa fame, devo ascoltare questa mancanza. E se io invece soffoco quella fame e quella mancanza, non riuscirò mai, fino in fondo, ad ascoltare Dio. Capite allora che le due condizioni della preghiera, che sono l’elemosina e il digiuno, non sono semplicemente dare dei soldi a qualcuno e non mangiare a mezzogiorno, ma è coltivare due atteggiamenti di fondo: la compassione e la capacità di accettare i nostri vuoti, le nostre mancanze, senza riempirle con tutte le forme di dipendenza che abbiamo sviluppato all’interno della nostra vita. E’ un lavoro su noi stessi molto profondo questo, ma è l’unico modo che ci inserisce davvero in una preghiera efficace. E quando dico una preghiera efficace non sto dicendo una preghiera che alla fine ci ottiene la grazia, ma che trasforma noi in una grazia. Persone come Padre Pio, che pregavano davvero in questo modo, dispensavano, a volte, la grazia di Dio senza nemmeno saperlo, cioè erano un po’ come Mosè: ricordate il racconto di Mosè che scendendo dal monte Sion, dal monte dove ha ricevuto le tavole della legge, è trasfigurato in volto. Significa che emana luce e lui non può farci niente! Ma tutto questo nasce da che cosa? dalla sua capacità di essere stato davanti al Signore. Ecco, io credo che questa è un a condizione molto importante, cioè quella di unire delle scelte esistenziali che permettono un po’ la nostra preghiera. Se tu sei ripiegato su te stesso e se tu non lavori sulla tua compassione e sul tuo vuoto, non riesci ad entrare davvero in un clima di preghiera, in un cuore che prega, in un cuore che ha questa educazione, questa postura di fondo che ci mette in relazione con Dio. Vorrei qui, a questo punto, individuare alcune cose che possono esserci di aiuto. Tre, fondamentalmente. In realtà ci sarebbero tantissime cose da dire sulla preghiera, ma purtroppo non abbiamo molto tempo e vorrei lasciare un po’ di spazio anche al nostro confronto, al fatto di poter dialogare, anche rispetto a quello che ci stiamo dicendo. Ho voluto scegliere, però, tre caratteristiche che spero possano esservi utili per poter avere un cuore che prega. La prima caratteristica è il silenzio. Che cosa è il silenzio. Il silenzio è una cosa che temiamo moltissimo. Perché quando una persona comincia a fare silenzio dentro la propria vita, è scaraventato nella propria interiorità. Ora, se nella nostra interiorità ci fosse pace, ci sarebbe facilissimo fare silenzio; perché uno dice “faccio silenzio e ritrovo pace, perché nella mia interiorità c’è pace”. Ma solitamente la nostra interiorità sapete che cosa è? E’ una cantina ripiena di un sacco di roba che a noi non piace. E’ il tappeto sotto cui  abbiamo messo tante cose che a noi non piacciono. Allora noi non vogliamo mai stare in silenzio, perché, in realtà, noi non vogliamo mai tornare dentro noi stessi. Perché se noi andiamo dentro noi stessi sapete che cosa noi sperimentiamo? La folla, non la pace. Cominciamo ad avere pensieri, preoccupazioni, frustrazioni, sofferenze, esperienze del passato che ci ritornano alla mente, sogni che abbiamo paura di dire ad alta voce…. Insomma, dentro la nostra interiorità c’è il caos molto spesso. Noi non conosciamo nessun altro modo per imparare a pregare se non imparare a fare silenzio e cioè ad entrare dentro questo nostro mondo interiore che è abitato da una folla e permettere a Gesù di fare ordine in quella folla. Che cosa succede quando noi entriamo dentro noi stessi? Succede che è come se sentiamo tantissime voci che ci urlano a destra e a sinistra, che ci confondono e che ci inquietano. Ecco, in mezzo a tutte queste voci c’è una voce, che è la voce principale: è la voce dello Spirito Santo. E questa voce dello Spirito è mescolata a mille altre voci. Tu devi imparare a riconoscere quella voce tra mille voci. Gesù usa una espressione molto bella nel vangelo, dice che il pastore e le pecore, in fondo, hanno un linguaggio tutto loro. Quando il pastore parla (noi siamo gente del sud e quindi questa roba la capiamo meglio, perché magari ci è capitato proprio di incontrare delle persone che esercitano questo mestiere) allora tu ti accorgi che il fischio del pastore, che la parola del pastore, il rumore che lui fa con la sua voce diventa direttamente un segno di riconoscimento per quegli animali. Quelle pecore riconoscono subito quel segnale e si muovono di conseguenza. Hanno elaborato un alfabeto che li rende riconoscibili tra di loro. Ora anche noi abbiamo la voce del pastore che ci abita e dobbiamo tornare ad ascoltare questa unica voce preziosa che è mescolata in mezzo al rumore che ci portiamo dentro. S. Ignazio usa una parola, molto abusata, purtroppo, da noi, forse anche molto fraintesa, che è la parola “DISCERNIMENTO”. Il silenzio ti aiuta ad entrare dentro te stesso e quando tu entri dentro te stesso, devi imparare a fare discernimento. S. Ignazio dice: “Innanzitutto devi imparare a fare discernimento”. S. Ignazio dice: “Innanzitutto devi imparare a dividere tra le cose che vengono dall’alto e le cose che vengono dal basso; quelle cose che vengono dallo Spirito buono e le cose che vengono dallo spirito cattivo”. Già soltanto se dividessimo questi due gruppi, ci accorgeremmo che molti pensieri, molte emozioni, molte voci non vengono da sopra ma vengono da sotto e se tu sai che vengono da sotto devi imparare a non dare troppa importanza a queste voci, devi imparare a relativizzarle, a banalizzarle, a sorridere di queste voci, perché se invece ascolti quelle voci entri in paranoia. Non soltanto. Poi, quando incontri le voci che vengono dall’alto, non tutte le voci che vengono dall’alto sono voci che vengono da Dio, perché tu puoi avere dentro di te tante esperienze di bene, ma non tutto il bene che ti porti dentro è volontà di Dio. Volete un esempio? Io oggi devo decidere se aiutare una persona in una difficoltà, andare a fare il servizio alla mensa dei poveri, mettermi a confessare delle persone che me l’hanno domandato, preparare un incontro per domani…. Vi ho fatto un esempio di cose che potrei fare. Sono tutte cose buone…. e come faccio a capire quale è la cosa giusta!? Mi devo domandare, fra tutte queste cose buone, quale è la volontà di Dio, che è solo una fra tutte queste cose… e quindi fin che tu devi capire la differenza tra il bene e il male può essere relativamente facile – e vi posso assicurare che non lo è – ma una volta che hai escluso il male, non è detto che tutto il bene è comprensibile. Poi devi capire quale è il bene e la volontà di Dio… perché quando il male ha perso la sua partita, si traveste di bene e tu non riesci più a riconoscerlo, perché è travestito di bene: è “angelo della luce”, amici. Quindi quando smette di essere macabro, si traveste da una cosa buona e tu devi poter dire: “Tu sei una cosa buona, ma non vieni da Dio, non sei volontà di Dio”. Ecco, come ci si fa ad educare a questo silenzio? Facendo silenzio. Scusate se posso sembrare un po’ buffo nel dire queste cose di una semplicità estrema. Ma in fondo la vita spirituale è diventare semplici. Cioè, se noi all’interno della nostra giornata non abbiamo spazi di silenzio, non ci prendiamo mai dieci minuti in cui stacchiamo i cellulari, abbassiamo il volume delle nostre radio, televisioni, cuffie… ci allontaniamo un attimo dagli altri.  Rientriamo dentro noi stessi, invochiamo lo Spirito Santo e impariamo a stare in silenzio, solo in silenzio, senza pensare a nulla senza dire nulla, senza domandare niente, standoci. Ci accorgeremo che dopo i primi secondi veniamo bombardati da migliaia di pensieri e di emozioni contrastanti, ma noi dobbiamo stare lì, fermi, in silenzio. Man mano quel caos comincia a calmarsi e in mezzo a quella calma tu cominci a discernere, a capire il bene dal male e il bene che è volontà di Dio. Quindi un grande aiuto è il silenzio. Un grande maestro di vita spirituale, poco conosciuto,  purtroppo - papa Francesco lo ha canonizzato pochi mesi dopo che è stato eletto papa, forse perché era anche un suo confratello gesuita. Mi sto riferendo a questo santo che è san Pietro Favre, che è uno dei primi compagni di S. Ignazio di Loyola, un mistico, un uomo di immensa contemplazione – ecco, nel suo memoriale, che è il suo diario personale, a un certo punto lui dice che non iniziava mai la preghiera, ad esempio la preghiera dei salmi, quella del breviario, o la celebrazione eucaristica senza farla anticipare dal silenzio, perché il silenzio dispone il cuore. Se tu passi dall’esteriorità all’interiorità senza nessuna mediazione, senza nessuna anticamera, che dovrebbe essere l’anticamera del silenzio,  tu sprechi quel momento perché non sei presente. E perché anche se il Signore ti sta parlando, quello che tu ascolti è solo il fruscio, il fruscio di un rumore che non ti dice nulla. Io non lo so se siamo abituati al silenzio. Il silenzio ci imbarazza, il silenzio ci sembra sempre qualcosa di accessorio di cui possiamo fare a meno. Invece un cuore che prega è un cuore che misura le parole e che, solitamente, sa far diminuire le parole. Anche qui i grandi maestri di vita spirituale dicono che per poter coltivare il silenzio bisogna imparare a smettere di parlar male degli altri, bisogna imparare a mordersi la lingua. Il primo modo di esercitare il silenzio è smettere di parlar male, di giudicare gli altri, di usare la lingua in modo sbagliato. E’ interessante, no? E così come il digiuno e l’elemosina aiutano la preghiera, smettere di essere malelingue ci dispone al silenzio autentico. Quando tu controlli la tua parola e non la usi contro l’altro, tu cominci ad entrare nel clima vero del silenzio. Ecco, parlar male, giudicare, parlare a sproposito…. tutto questo rovina il silenzio perché non è semplicemente l’assenza di un suono, è una disposizione interiore il silenzio. Seconda caratteristica che vorrei darvi: è l’ascolto. Non basta che tu faccia silenzio, devi sapere che in quel silenzio Dio parla. Ora, come facciamo a non perderci? Cioè, che cosa può dirci in maniera oggettiva che Dio ci sta parlando?. Vedete, amici, noi abbiamo uno strumento, che purtroppo non usiamo moltissimo, ma che in realtà è uno strumento potentissimo che educa il nostro ascolto; sapete che cos’è? E’ la Parola di Dio. Se tu vuoi ascoltare Dio, devi imparare ad ascoltare la sua parola. La Parola di Dio non può essere usata in maniera casuale, banale, episodica, presa a pezzettini. La parola di Dio non può essere ridotta semplicemente a qualche passo nelle nostre liturgie; la Parola di Dio deve diventare una compagnia per ciascuno di noi perché, soprattutto i vangeli, devono diventare per noi una compagnia costante, perché frequentare quella parola significa predisporre dentro di noi l’ascolto vero. Ma anche qui dobbiamo stare molto attenti: anche il demonio può usare la parola di Dio. Vi ricordate quando tenta Gesù? Come fa a tentare Gesù? Cita i salmi. Cita la bibbia. Quindi non è detto che siccome ci troviamo davanti alla Parola di Dio allora automaticamente noi ci troviamo davanti oggettivamente a Dio che ci sta parlando. Dobbiamo fare questa differenza dentro di noi. Tu devi imparare ad ascoltare la Parola permettendo alla parola di entrare dentro la tua vita facendo verità, ma facendo verità nella misericordia. Il male, invece, usa la parola di Dio per fare un altro tipo di verità. Vuole fare verità, ma per accusarti, per giudicarti, per far crescere dentro di te i sensi di colpa. Allora quando un passo della Parola di Dio vi punta il dito e vi condanna significa che ve lo sta porgendo il demonio, non lo Spirito Santo. Quando un passo della parola di Dio vi fa anche soffrire perché vi mette a nudo ma vi sentite profondamente amati in quella nudità, sentite che c’è pace in quella verità, allora lì c’è lo Spirito Santo. Ecco, noi dobbiamo imparare a frequentare la Parola di Dio e a permettere alla Parola di Dio di fare verità dentro la nostra vita, a fare verità nella carità e non verità nel giudizio. Verità come misericordia e non verità come accusa. Quindi non basta semplicemente reintrodurre i vangeli nella nostra vita, ma dobbiamo introdurre i vangeli in una modalità unica, che è quella che ci ha insegnato Gesù Cristo: “Io non sono venuto per condannare, ma per salvare”.  Quindi certamente voi questo non lo farete, ma qualcuno può avere la tentazione di poter leggere molta Parola di Dio e poi gli viene di giudicare gli altri usando quella Parola di Dio o di giudicare se stesso usando quella Parola di Dio. E citano passi e brani della bibbia per condannare la gente o per condannare se stessi. Questo è un modo diabolico di usare la Parola di Dio. Perché tu puoi usare la Parola di Dio solo e soltanto quando quella parola è misericordia. Il che non significa: “Eh no, vogliamoci bene, va bene tutto”. No. La misericordia ha la stessa rudezza di Padre Pio che diceva la verità alle persone, ma la diceva per salvarle, la diceva nella carità, con lo scopo di guarigione, non con lo scopo di distruggere chi abbiamo di fronte. Il male invece accusa per distruggere, accusa per giudicare. Io spero di avervi dato una chiave di lettura anche in questo senso, cioè educare l’ascolto significa far tornare centrale nella nostra vita la Parola di Dio, ma la Parola di Dio usata con misericordia e non con giudizio. Terza e ultima caratteristica che vorrei condividere con voi è l’affezione. Allora, io so che è una parola un po’ desueta, quasi ottocentesca.  Che cos’è l’affezione. L’affezione significa che la preghiera deve diventare una partecipazione affettiva alla vita di Dio, cioè deve coinvolgermi nei miei affetti e non soltanto a livello intellettuale, perché altrimenti sarebbe un atteggiamento gnostico la nostra preghiera. La preghiera è vera quando ci coinvolge in maniera affettiva. E sentite come ci aiutano i santi. Che cosa facevano i santi, cosa faceva Padre Pio per coltivare questa dimensione affettiva nei confronti di Cristo: si inventava modi per voler bene a Lui… pensate alla giaculatoria. Che cos’è la giaculatoria: è una frase breve, a volte è una frase che non ha grandi significati, eccetera… ma è carica di amore, è carica di una potenza affettiva e la persona che la pronuncia, la pronuncia per esprimere l’amore, per rafforzarsi nell’amore. Se una persona che non ama sente parlare due innamorati comincia a dire: “Oddio, ma questi che si dicono ‘ste frasette…. mamma mia, basta! Non sopportabili….”. Perché non amando non riesce a comprendere che chi ama ha bisogno di esprimere in maniera affettiva il suo amore. Io mi domando se la nostra preghiera è una preghiera affettiva, oppure è semplicemente una preghiera emozionale, che non è la stessa cosa degli affetti. Emozionale significa che noi andiamo a cercare le emozioni; le cerchiamo per noi stessi. La preghiera affettiva, invece, è esprimere l’amore per indirizzarlo a qualcuno. Allora capite che la visita al Santissimo Sacramento non è una pia devozione. E’ un modo di dire: “quei due minuti che vado davanti al tabernacolo, lo faccio esattamente per rafforzare il mio legame affettivo con Lui. Signore sai perché sono venuto qui? Perché non voglio niente, voglio amarti e voglio farti compagnia un po’, perché mi manchi”. Fermarsi durante il lavoro e dire al Signore: “Ti amo, Signore, mia forza” significa non cercare grandi cose se non quello di esprimere l’amore, rafforzarsi nell’amore. Insomma, noi dovremmo imparare che l’autentica preghiera è tale quando è semplice e quando è affettiva, quando ci coinvolge anche nei nostri affetti. E sapete, penso che tutti noi, almeno una volta, abbiamo fatto esperienza nella nostra vita… e cioè che amare non è mai facile. Pensate a una madre che a volte è stanca e nonostante questo deve accudire i figli. Però lo fa; nonostante questo deve cucinare. Però cucina. Nonostante questo deve essere l’ultima che spegne la luce, e lo fa. Emotivamente non sta provando niente se non stanchezza, a volte confusione, a volte frustrazione. Però lo fa. E lo sapete perché lo fa? Perché ama. Questo è il suo modo di esprimere la sua affezione nei confronti dei figli: fare delle cose anche quando non glie ne viene, perché li ama. Ecco, nella preghiera funziona nello stesso modo. Se tu fai le cose soltanto quando te le senti di fare… eh, stiamo freschi! Se dovessimo amare così una persona… ci abbandonerebbe dopo due giorni. Voler bene a qualcuno significa coltivare, decidere di amare affettivamente qualcuno, a volte mettendosi anche un po’ contro noi stessi, contro quello che noi possiamo provare in quel momento. Ecco, mi avvio alla conclusione: da dove nasce la preghiera allora. La preghiera non è una iniziativa nostra, è una iniziativa dello Spirito e lo Spirito solitamente suscita la preghiera dentro di noi facendoci desiderare di pregare, anche quando non ci riusciamo. Ma questo desiderio non può semplicemente rimanere un desiderio, ha bisogno di diventare un fatto. Per aiutare questo seme a germogliare, noi possiamo fare due cose: l’elemosina e il digiuno. Cioè, coltivare in maniera orizzontale compassione nei confronti della vita delle persone che sono accanto a noi, amici, non di quelle che non ci scegliamo, ma di quelle che ci stanno. Perché anch’io vorrei stare con delle persone… che purtroppo però non ci vivo, con queste persone, e vivo con altre persone… ma io è nei confronti di chi c’è dentro la mia vita che devo esercitare compassione, non di quelle che io mi scelgo. Gesù dice nel vangelo: “Ma se amate quelli che vi amano, che merito ne avete, fanno così tutti” eh… sono tutti bravi a fare così dice Gesù. Amate quelli che non vi stanno proprio simpatici…. però ce li avete di fianco! Amate i vostri nemici, a volte, e i nemici ti vivono in casa, a volte, sono accanto a te, sono i tuoi colleghi di lavoro, il tuo vicino di casa. Coltivare la compassione, l’elemosina, accorgersi del dolore e del bisogno dell’altro…. questo fa germogliare il desiderio della preghiera in fatto. E la seconda cosa: digiunare, cominciare a disintossicarci da tutte le nostre dipendenze, perché sono dipendenze che riempiono il vuoto. Dobbiamo imparare ad essere nudi e crudi per poter pregare, dobbiamo imparare ad abitare il nostro vuoto. Poi dobbiamo smettere di essere concentrati su noi stessi e dobbiamo capire che non preghiamo perché stiamo cercando qualcosa per noi, ma perché stiamo cercando un altro, stiamo cercando chi amiamo. E non stiamo cercando semplicemente noi stessi. E comprendere così che la preghiera è una relazione con Dio, non una relazione con il nostro “io” più profondo. Che cosa potrebbe aiutarci: il silenzio, l’ascolto e l’affezione. Il silenzio come la capacità di saper entrare in maniera giusta dentro la nostra interiorità, per riscoprire, all’interno della nostra interiorità, che quel caos è abitato anche da una voce di cui noi abbiamo bisogno. Il silenzio che ci predispone, il silenzio che ci fa fare discernimento. E per poter avere questo silenzio che ci fa entrare dentro la nostra interiorità smettere di parlar male degli altri. Questo ci dispone al silenzio. L’ascolto. Che cosa è l’ascolto: un’idea geniale che ci balena nella mente quando riflettiamo molto? No, l’ascolto è l’ascolto soprattutto della Parola di Dio. Ma la Parola di Dio può essere ambigua, può essere posta a noi dal Male o dallo Spirito Santo. Noi siamo autorizzati ad ascoltare la Parola quando quella Parola è Misericordia, quando ci dice la verità nell’amore e non quando ci dice una verità per farci sentire in colpa. E’ una verità per la vita non per la morte. Terza cosa: coltivare un’affezione nei confronti di Dio, elaborare, cioè, dei modi di amarlo che sono tutti nostri, tutti personali; ma in cui riempiamo il tempo delle nostre giornate, il tempo di questa nostra relazione di piccole attenzioni, di piccole caratteristiche che altro non sono che un modo di esprimere l’amore e rafforzare l’amore. Pregare come partecipazione affettiva alla vita di Dio. Mi piacerebbe dirvi che io tutte queste cose le faccio e mi riescono benissimo, sono molto bravo e sono molto felice. Invece…. sono ancora un principiante e sto imparando tutto questo e se sono molto chiaro a spiegarlo agli altri è perché in realtà sono molto affaticato nel cercare di renderlo vivo dentro la mia vita. Quindi non sono qui come testimone ma come un povero disgraziato che si trova sulla stessa barca e che ha il medesimo desiderio di pregare, ma che sa che quello che vi ho appena detto non è frutto mio ma è frutto della tradizione che la Chiesa ci ha consegnato in tanti anni e di cui io insieme con voi vorrei farne tesoro. Grazie mille. Don Luigi Epicoco

Cosa significa aver fede? (don Luigi Epicoco)

Ho trovato in rete questa bellissima meditazione di Don Luigi Epicoco...
COSA VUOL DIRE AVERE FEDE? di Don Luigi Maria Epicoco Esiste un desiderio profondo di incontrare Gesù, di ascoltare cosa ha da dire a ciascuno di noi perché, forse, nemmeno noi, fino in fondo, riusciamo a capire che cosa ci attrae davvero. Anche noi ci sentiamo un po’ come Pietro davanti a questo invito – forse un po’ piccato – di Gesù che dice “Volete andarvene anche voi..”… perché, quando tu cominci a seguire il Signore, quando cominci a prendere sul serio quanto il Signore ti sta chiedendo, quando il cristianesimo non è più semplicemente la raccolta punti delle messe domenicali, ma comincia a diventare qualcosa che ha a che fare con tutta la tua vita, con tutta la vita che accade fuori da una chiesa, allora tu ti accorgi che – a volte – è dura seguire il Signore e ci viene voglia di andarcene perché vogliamo cercare scorciatoie per vivere. Vogliamo trovare modi per vivere in modo meno impegnato la nostra vita, più leggero, ma la felicità è una cosa pesante: la felicità è tenere i piedi ben fissi a terra. Seguire Gesù, a volte, è faticoso ed ha ragione Pietro a dire “Da chi andremo Signore?”… Chi altro ha quelle parole di vita eterna che ci racconti Tu? La domanda che ci poniamo con questa riflessione è difficile: che cosa vuol dire avere fede? Forse noi dobbiamo, però, partire dall’anti domanda cioè che cosa significa il contrario, ciò che fede non è. Anche noi siamo vittima di un pregiudizio rispetto alla fede: la fede non è quel qualcosa di cui ci siamo convinti. Ad esempio, la fede non è un ragionamento convincente: se fosse così, basterebbe semplicemente ragionare sulle cose per poter avere fede. Avere fede non significa avere ragione, non significa crearsi la ragione in una discussione. La fede non è un ragionamento convincente e non è neppure un’educazione: tutti noi che siamo stati educati cristianamente, dobbiamo stare molto attenti a non confondere la fede con l’educazione cristiana ricevuta. A cosa serve l’educazione cristiana ricevuta? A raccapezzarci, a saper rimanere a galla, a capire come un navigante su una barca può prendere una qualsiasi direzione per non perdersi. Ma è troppo poco raccapezzarsi per dire di avere la fede. La nostra educazione cristiana ci permette di stare nel mondo senza soccombere, ci aggrappa a dei valori importanti, significativi, che abbiamo preso dal Vangelo, ma il cristianesimo non è una questione di valori e non è una questione di educazione, non è qualcosa che ci può insegnare qualcuno a scuola. Allora non è un ragionamento convincente, non è un’educazione ricevuta, non è nemmeno un’altra cosa pericolosissima: una consolazione psicologica. Siccome la vita è difficile, siccome tutti abbiamo paura di vivere, ci rifugiamo nel cristianesimo per trovare un antidolorifico, per trovare qualcosa che ci consoli: questa non è la fede in Gesù Cristo. Questo lo capiamo subito leggendo il Vangelo: i discepoli non arrivano a Gesù per ragionamento, è Gesù che arriva a loro. La fede entra, irrompe nella vita dei discepoli perché Gesù li va a cercare ed incontrano questa fede perché gli succede qualcosa. E’ nell’esperienza che incontrano Gesù, non nei ragionamenti; è in qualcosa che è successo  dentro la loro vita che incontrano Gesù. A me piace dire che, ciascuno di noi, vive tre stagioni importantissime nella propria fede: la prima è quella di cui si diceva sopra, la fede che indossiamo, la fede che ci raccontano gli altri, quella che impariamo al catechismo, la fede del segno di croce, dell’Ave Maria che impariamo a memoria, del Padre Nostro, la fede dei racconti degli altri, del comportarsi in un certo modo, la fede di amare, di rispettarsi, della solidarietà: ma questo è un livello di fede che non implica, per forza, un incontro con Gesù. Questa è una fede buona ma non ci salva la vita! Noi abbiamo la vita salva quando accade qualcos’altro cioè il cristianesimo non è più qualcosa che indossiamo ma qualcosa che arriva dentro il nostro cuore, qualcosa che oltrepassa i nostri vestiti, non è più un atteggiamento; non è più, semplicemente, qualcosa che abbiamo capito, ma qualcosa che ha toccato il nostro cuore, come quando ti innamori di qualcuno, come quando soffri, come quando ti piace qualcosa. Non è più semplicemente qualcosa che passa attraverso la testa ma che giunge in una parte più profonda: è quello che succede a Pietro quando, per la prima volta, incrocia Gesù. In un’esperienza di profonda tristezza e depressione, descritta dal Vangelo come una notte buia nella quale questi pescatori non hanno preso nulla; la sensazione di fare un sacco di fatica e di non raccogliere nulla…vi ricorda niente? Di fare un sacco di fatica nelle nostre famiglie, nelle nostre relazioni, di fare un sacco di fatica nelle cose della nostra vita e ci sembra sempre di arrivare, alla sera, stanchi e senza niente, con le mani vuote, con le reti vuote come erano quelle di Pietro. E uno straniero, uno che loro non conoscono, che non sanno che è Gesù Cristo – perché questa è la bellezza del cristianesimo: Gesù non si traveste, per forza, da qualcosa di religioso per arrivare dentro la nostra vita ma si nasconde in qualsiasi ambito dell’esistenza, pur di arrivare a ciascuno di noi -, questo straniero si affaccia nella vita di quest’uomo triste e depresso che è Pietro e gli domanda il senso di quelle reti vuote. “Non avete preso nulla”…che è un po’ come dire…Dì la verità, non sei veramente felice…Nessuno di noi ha il coraggio di dire, ad alta voce, questa cosa perché non vorrebbe offendere la donna che ha sposato, i figli messi al mondo, il lavoro che con tanti sacrifici è riuscito ad avere, le persone che ci circondano. Ma il problema vero è che non può iniziare nessun vero cristianesimo, dentro la nostra vita finchè non troviamo il coraggio di dire, ad alta voce, che forse non siamo veramente felici, ci manca qualcosa. Gesù viene a ricordarci, innanzitutto, l’evidenza di quelle reti vuote, il dire ad alta voce che ci manca qualcosa. A quelli che pensano che non gli manca nulla, Gesù non può dire niente, non può raccontare niente: il Vangelo si può annunciare solo ai poveri.  Il Vangelo si può annunciare soltanto a uno che sente questa mancanza, che si sente profondamente umano e sente il peso di cosa significhi essere umani. Cosa c’è di più facile di manovrare una persona triste e depressa? Ma non è il metodo di Gesù perché Egli, prima di proporre qualcosa di grande, di decisivo nella vita di Pietro, gli riempie prima le reti: gli ridona di nuovo una pienezza, lo guarisce da questa tristezza ed insoddisfazione e, poi, gli propone qualcosa. Tutto questo per dirvi che, ad un certo punto, non reggono più le nostre educazioni, i ragionamenti cristiani: ad un certo punto, la vita ci inchioda davanti a qualcosa che ci succede ed è lì che il Signora si affaccia e fa una domanda che arriva al fondo del nostro cuore, che interpella ciascuno…ma sei felice? Che cosa stai cercando veramente? Che cosa ti riempie il cuore? Per che cosa vale la pena il fatto che ti sei svegliato stamattina? Scriveva una persona <>: ha ragione perché, a volte, ci vuole coraggio ad alzarsi dal letto la mattina, ad affrontare la vita, perché la vita non è semplice! Che cos’è veramente la fede? E’ qualcosa di molto più grande. E’ un incontro che, in maniera indelebile, mette dentro ciascuno di noi la certezza che esista, al fondo della nostra vita, un bene. Non è più semplicemente raccapezzarsi o rimanere a galla, non è più semplicemente cercare di sopravvivere, non è più questo! Ad un certo punto ti viene dato un destino, hai una meta, hai un viaggio, hai un motivo di cui ancora non sai nulla, non conosci il nome proprio di questo destino, non sai che significa ma avverti che la vita nasconde un tesoro prezioso, che – dietro le cose contraddittorie di cui questa vita è fatta – è nascosto un tesoro di bene. E non sai perché! Perché – se ci ragioni – dici “Perché io credo che esista ancora un bene quando tutto mi dice il contrario? Anche i miei ragionamenti mi dicono il contrario! Anche le mie emozioni, a volte, mi dicono il contrario!”. Perché la fede non è una questione né di pensieri, né di emozioni: è qualcosa di molto più profondo, è una vittoriosa certezza che noi non riusciamo a spiegare che esiste il bene e che tutta la nostra vita è ricapitolata in questo bene, che tutto è pieno di significato, anche le cose che non capiamo, anche le cose più contraddittorie. Non è più semplicemente una questione di consolazione, anzi, è questione di aprire gli occhi. La fede è incontrare questo Gesù che imprime questo dentro di te! Sarebbe molto bello se ciascuno di noi trovasse il coraggio di essere così concreto perché, a volte, noi pensiamo che qualcuno che ci annuncia il Vangelo debba semplicemente allargare la nostra visione del mondo: non è così ma io devo fermarmi e dire “Ho mai incontrato Gesù Cristo dentro la mia vita?”. Fratelli miei, non mi sto riferendo al fatto che, ad un certo punto, Gesù ci appare, non mi sto riferendo ad esperienze mistiche o straordinarie, a segni che attirano la nostra attenzione ma a qualcosa di molto più concreto. E’ mai successo qualcosa di decisivo dentro la nostra vita che ha impresso, nel fondo di noi stessi, questa certezza? A volte, Gesù, lo abbiamo incontrato in un buon padre, in una buona mamma, in una nonna, in un amico, in un professore, in un catechista, in un prete, in una situazione, l’abbiamo incontrato in un dolore come nell’amore per qualcuno. Succede, ad un certo punto, qualcosa di concreto nella nostra vita, dove Gesù ci tocca: è quello l’inizio vero della nostra fede, quando sappiamo dire qual è il nome proprio di questo incontro. Non è offendere Gesù dire che il nome di questo incontro è quello di una persona precisa o di una situazione precisa; a volte sono cose che succedono o persone che incontriamo così, in maniera gratuita, che lasciano un segno indelebile come una bruciatura, come qualcosa che non puoi toglierti più di dosso perché la fede è un dono: il dono di un fuoco al fondo di tutta la nostra esistenza. E’ questo che abita i discepoli quando incontrano Gesù. Molto spesso non sanno spiegare o raccontare Gesù, non sanno ridire le cose come Lui le sapeva dire. Spesso non sanno fare i miracoli che faceva Gesù, spesso devono fare i conti con la loro umanità, col fatto che arrivano pure a rinnegarlo o, per lo meno, a scappare davanti alle cose serie. Pensate come, davanti allo scandalo della croce, tutti gli amici di Gesù vanno via, scappano e  lo lasciano da solo. Ma sono persone che hanno incontrato Gesù: Giuda ha incontrato Gesù, è stato toccato da quest’uomo. La fede non ci toglie la nostra umanità, non ci toglie la nostra miseria ma mette, al fondo di tutto, anche della nostra miseria, una luce, un bene. Che cosa significa avere fede? Significa credere a questo bene che è al fondo di tutto, nonostante tutto, nonostante i ragionamenti, nonostante le emozioni contrarie, nonostante l’ingiustizia della vita che, tante volte, noi dobbiamo vivere. Ecco perché credo che sia assolutamente significativo il brano del Vangelo di Luca (Luca 18,1-8)  perché, dietro la storia di questa donna, forse c’è una parabola per ciascuno di noi. Chi è questa vedova? Una donna che ha perso il marito. Ma cosa simboleggia una donna del genere? E’ una donna che non ha più qualcuno che abbia cura di lei umanamente, non ha più le spalle parate, avverte che la sua vita non ha più alcun tipo di rassicurazione. E’ una donna che non vive più le sicurezze del mondo perché niente più, nel mondo, può rassicurarla: la sua sicurezza – che era suo marito . non c’è più. Questa donna che ha ormai le spalle scoperte, da un punto di vista umano, incontra davanti a sé un giudice iniquo; sembra una vittima questa donna, schiacciata dalla mancanza di qualcuno che le voglia bene e la vita che si manifesta davanti a lei come ingiustizia. Eppure, questa donna è raccontata da Gesù come l’emblema della fede perché lei continua ostinatamente a domandare qualcosa contro l’evidenza dell’ingiustizia di quel giudice. “Fammi giustizia!” L’ostinazione di questa donna di credere, fino in fondo, al bene  nonostante la vita le abbia riservato la perdita delle sicurezze e la percezione di un’ingiustizia che la circonda. Il giudice, di fronte al quale lei si trova, è un giudice ingiusto. Quante volte la vita si manifesta a noi come un’ingiustizia, come qualcosa che non ci ripaga, come qualcosa che ci promette la felicità ma poi non ce ne dà, come qualcosa che dovrebbe riempire il nostro cuore e poi non lo riempie. Credere significa essere ostinati: ostinati nel domandare, ostinati nel credere, ostinati nel fidarsi di questo bene. Noi, invece, che cosa facciamo quando ci succede qualcosa, quando ci crolla una certezza? Ciascuno di noi ha un marito che ha perso cioè ha una certezza che è crollata, a volte perché è crollata la salute, a volte è crollata perché hai perso la persona che amavi, a volte è crollata perché hai fatto un’esperienza difficile, altre volte perché perdi in senso materiale le cose. Quando tu ti accorgi che la vita in sé è inaffidabile, che le cose di questo mondo – ad un certo punto -  si perdono, quando tu ti scopri vedovo, quando tu ti riscopri come questa donna precaria, quello è il momento in cui noi crediamo moltissimo alle nostre spalle scoperte e cominciamo ad inginocchiarci davanti alla perdita delle sicurezze, diventiamo tristi e depressi. In quel momento pensiamo che il destino della nostra vita sia nefasto, sfortunato,  che noi siamo destinati a non essere mai felici perché non è possibile essere felici senza avere più nessuna certezza. Che cos’è il Vangelo? Credere che noi siamo chiamati ad essere felici anche quando la vita ci toglie tutte le certezze. Tu credi questo? Perché se tu non credi questo, non credi nel Vangelo di Gesù. Gesù non è uno che ti promette che tuo marito non morirà mai o che non perderai mai nessuna sicurezza! Gesù non promette questo, non ci rassicura, ci dice che questa cosa, di avere le certezze crollate, può succedere nella vita. Ma tu credi che si possa essere felici anche quando tutto crolla? La professione di fede dobbiamo farla davanti alla nostra storia innanzitutto: la nostra storia ci interpella come qualcuno che dice “Vediamo se credi adesso, ora che il sole non splende più  e che è buio…tu credi? Ora che non hai più un bastone su cui poggiarti, credi? Ora che non hai più il tepore di qualcuno che ti abbraccia, credi?”. Se la fede fosse qualcosa che abbiamo semplicemente inventato noi, abbiamo allora tutto il diritto ad essere atei, abbiamo tutto il diritto a perdere la fede; ma la fede che ci ha dato il Signore è più grande della nostra mancanza,  è più grande del crollo di tutte le nostre sicurezze. A che cosa dovrebbe servire pregare? A che cosa dovrebbe servire leggere il Vangelo o avere una vita spirituale? A prenderci un dono che noi non abbiamo ma che riceviamo: è il dono di essere felici nonostante la vita ci dica esattamente il contrario, nonostante tutto il nostro passato, la nostra storia, nonostante tutto quello che abbiamo vissuto ci dica che non è possibile credere in un Dio che, invece, può. Questa donna vedova si trova davanti ad un giudice iniquo: svegliarsi la mattina e cercare di fare una cosa buona per ricevere qualcosa di buono e tu non ricevi qualcosa di buono, ricevi batoste, le cose non tornano. La vita non è giusta, assomiglia a questo giudice: ma questa donna è ostinata! Anche se tutta la vita che affronta è ingiusta, anche se ha di fronte giorni in cui i conti non tornano, questa donna è ostinata “Fammi giustizia”…Voglio essere felice! Io credo! Potremmo tradurre così: io credo.  E Gesù dice che questo giudice - non perché sia buono o giusto ma per stanchezza – esaudisce questa donna.  Questa ostinazione che ci ha regalato il Signore, che è la nostra fede, è più forte del mondo, è una fede che ha vinto il mondo – ci dice la Parola. Questo significa credere: poter sperimentare, dentro di noi, la forza di questa ostinazione. Avete presente quando un bambino piccolo deve prendere una medicina amara e la madre, per convincerlo, gli dà una caramella o un cucchiaino di miele? Certe volte, il nostro cristianesimo assomiglia a questo cucchiaino di miele: per ingoiare l’amaro della vita, la fede ci dà un cucchiaino di miele. No, fratelli miei, non è questo il cristianesimo! Il cristianesimo è l’ostinazione di questa donna, è sale, è coraggio, è carattere, è saperci mettere contro tutto e tutti, è sperare contro ogni speranza, è saper guardare la nostra vita in un modo completamente diverso, con una forza che non viene da noi e che, alla fine, vince, con una ostinazione in cui persino il giudice – persino la vita ingiusta – cede e dice “Tieni!”. Ecco perché il mondo ha bisogno di noi, anche di tutti quelli che dicono che Dio non esiste e che noi siamo dei poveri illusi…nel loro cuore, ci guardano con la speranza che, invece, abbiamo ragione. Tutti, tutto il mondo ha bisogno dell’ostinazione di chi crede: in questo senso Gesù dice che noi siamo il sale della terra, la luce del mondo! Una persona che vede noi, non vede qualcuno che ha capito tutto o che ha la risposta a tutto, qualcuno che è rassicurato in tutto: noi siamo come tutti gli altri! Anche noi siamo dei poveracci, anche noi non abbiamo un ragionamento che ci spieghi tutto quello che succede, anche noi non abbiamo parole che spieghino il dolore innocente, anche noi, davanti ad un bambino che muore di cancro, non abbiamo parole  o ragionamenti…e se li avete, non siete cristiani. Perché il cristianesimo è silenzio davanti allo scandalo del dolore. Anche noi non abbiamo parole, anche noi viviamo la precarietà di questa vita, anche noi che abbiamo la fede. Ma quel di più che ci è stato donato è rimanere ostinatamente vivi, nonostante tutto, ostinatamente aggrappati a questo bene, ostinatamente speranzosi,  ostinatamente capaci di andare avanti nonostante…Ma non è una forza che viene da noi: è una ostinazione che viene dal cielo! In questo senso, forse, ciascuno di noi dovrebbe domandarsi se gli basta semplicemente l’educazione cristiana: davanti alla perdita di qualcuno che te ne fai dei valori cristiani? Che te ne fai di qualche idea che qualcuno ti ha propinato? Che te ne fai di tutto quello che qualcuno ti ha dato da mettere addosso? Arriva un momento in cui la vita ti spoglia di tutto e i ragionamenti non reggono più…e quando sei nudo e crudo davanti alla cruenza della vita, che cos’è che ti rimane se non il fatto che, ad un certo punto, hai incontrato qualcuno che ha cambiato la tua vita!  E te l’ha cambiata, non perché ti ha spiegato, ma perché ha impresso dentro di te qualcosa che non potevi darti da solo. Non so se ci avete mai fatto caso che il giorno del Battesimo, alla fine del rito, fra i gesti che compiamo esteriormente per dire quello che è accaduto, il sacerdote accende una candela al cero pasquale  - che rappresenta Gesù Risorto - e la consegna alla famiglia, la consegna simbolicamente a quel battezzato e dice “Questa è la luce della fede”. Poca roba…quanto ci vuole a spegnere una candela? Basta un soffio e, a volte, la vita è così piena di burrasche che – altro che soffio! – subito si spegne. Che cosa significa, allora, essere dei credenti? Saper difendere questa fiamma delicatissima che si può spegnere da un momento all’altro ma che non ci fa disperare fino in fondo, finchè quella candela è accesa, il buio non arriva. Finchè quella candela è accesa, tu sai qual è il passo successivo che devi fare…forse non vedi, fino in fondo la strada, ma sai dove mettere i piedi. Questa è la nostra fede: è qualcosa di infinitamente fragile ma di così infinitamente essenziale per ciascuno di noi. La fede non è la forza della spada: è la delicatezza della candela che ci viene consegnata nel buio pesto della storia. Gesù - che non aveva visioni edulcorate o romantiche della realtà - quando pensa a noi, lo fa con un realismo che non dovremmo mai perdere “Sarete come agnelli in mezzo ai lupi”: Gesù sa benissimo quanto è difficile, a volte, vivere e sentirci addosso tanti lupi. E c’è un lupo più pericoloso di tutti, un lupo che tutti ci portiamo dentro: è il lupo del nostro io, del nostro egoismo. Solitamente, questo lupo si mette alle porte del nostro cuore e non fa entrare nessuno, spaventa tutti, non fa entrare l’amore perché questo lupo del nostro io è sempre sulla difensiva, è un lupo che non si fida. Voi siete così:  inermi come agnelli davanti ai lupi ma ricordate chi è il vostro pastore, ricordatevi di chi siete. Allora questo ci domanda il Signore: non ci chiede di diventare più cattivi o più forti dei lupi, ma di ricordarci semplicemente di chi siamo. E’ il nostro Pastore colui che vince i lupi, è il nostro Pastore colui che vince, innanzitutto, quel lupo che è a guardia delle porte del nostro cuore e che non fa entrare niente. E’ il nostro Pastore che vince i lupi che sono intorno a noi: quella parte ingiusta della vita è un lupo e Lui l’ha vinta con la croce! Il nostro Pastore è morto per salvarci la vita, per salvare la vita a ciascuno di noi.  Questa è la vittoriosa certezza della fede che è messa nel cuore di ciascuno di noi.  Potremo anche essere, per tutta la vita, come questa donna ma questa donna ha la vita salva, perché ha professato la sua ostinazione fino alla fine. Ed è particolare come il Vangelo si concluda con questa domanda che spero vi inquieti, che non vi faccia dormire “Quando il Figlio dell’uomo tornerà sulla terra, troverà ancora la fede?”…Troverà ancora qualcuno che è rimasto umano? Troverà qualcuno che crede in questa ostinazione che ci è stata messa nel profondo del cuore? Troverà qualcuno che crede ancora in questo destino? Troverà qualcuno che vive così? O troverà perdenti che hanno creduto di più al fragore della tempesta che a Lui che dice “Non avere paura”? Troverà persone che hanno deciso di arrendersi al buio piuttosto che credere ad una luce nascosta di cui tu senti la presenza? Tutta la fede cristiana non nasce da una visione ma da una Parola. La nostra fede viene dall’ascolto, non dalle visioni: le visioni sono evidenti ma, in questa vita, l’unica cosa evidente è che le cose non vanno. Ed una parola ci dice, invece “Non fidarti di quello che vedi, la vita vale la pena, la vita ha un senso”. Ma io vedo Signore che non ha nessun senso. “Tu fidati di me”. Voglio concludere con la stessa sensazione che, credo, abbia messo Gesù addosso ad un uomo, ad un padre disperato di nome Giairo che cerca Gesù nella sua disperazione. C’è un momento, nella vita, in cui la sofferenza ci rende davvero dei poveri ed è lì che cerchiamo Gesù perché capiamo che ci manca qualcosa: tu puoi anche essere il capo della sinagoga,  puoi avere tre lauree, avere dieci milioni sul tuo conto in banca, puoi avere tutto sotto controllo, puoi essere la persona più onesta del mondo ma tutto questo non basta quando, ad un certo punto, la vita ti mette davanti a delle cose che sono più grandi di te. Quest’uomo è disperato, la figlia sta morendo, sono gli ultimi minuti di vita di questa bambina, e lui cerca Gesù in questa disperazione “Signore, vieni da mia figlia e guariscila” e Gesù si mise in cammino. In realtà, succede qualcosa durante questo cammino, Gesù compie un altro miracolo ma perde tempo e, nel frattempo, questa bambina muore; allora, i servi di quest’uomo gli vanno incontro e gli dicono di lasciar perdere ormai, di non dare più fastidio a Gesù “perché tua figlia ormai è morta”; evidentemente morta, la morte come evidenza. Gesù fissa i suoi occhi negli occhi di quest’uomo e dice: “Tu continua solo ad avere fede” e si misero in cammino verso casa.  Molte volte la vita ci dice che evidentemente è tutto finito: ricordatevi di questo Gesù che, invece, sussurra nel vostro orecchio “Tu continua solo ad avere fede”, tu continua soltanto ad essere ostinato, tu continua soltanto a credere a quello che senti essere vero nel profondo del tuo cuore: questa è la nostra fede, questa è l’ostinazione che ci salva, questo è ciò che ci riporta a casa, questo è ciò che rende la nostra vita piena di sapore, piena di sale. Una vita senza Gesù è una vita sciapita, che non ha più nessun senso, nessun significato: ad un certo punto, esauriamo il significato della nostra vita per quello che ci succede ma Gesù è l’unico che riempie sempre di significato la nostra vita. Avere Lui e rimanere aggrappati a Lui non significa avere una vita più semplice, ma una vita costantemente piena di sapore. Vi auguro che la vostra vita sia sempre così saporita e, quando toccherà a tutti noi finire il viaggio di questa esistenza, ricordate le parole di Don Tonino Bello “Fratelli miei che la morte vi trovi vivi”: questo è il segno della fede. La morte ci troverà vivi e sarà solo un passaggio per noi, sarà solo una Pasqua: allora sì che dalla parola passeremo alla visione e, quello che sentivamo essere presente, lo vedremo. Può darsi che tutte le considerazioni fatte non siano vere oppure sì: solo noi possiamo decidere per che cosa vogliamo vivere. Da quello si capirà che fine faremo e che cosa succederà già da domani mattina.

sabato 25 dicembre 2021

Buon Natale 2021

Padre Gino Toppan Meditazione di Natale 2011.. Anche oggi attuale! Buon Natale 2021 Nei momenti di difficoltà. di passaggio...chi non sente il bisogno di ritrovare il bandolo della matassa. la radice semplice della realtà!. In tutti (se non tutti, in tanti) c'è l'urgenza di tornare all'essenziale. a ciò che conta davvero e ci fa respirare. Chi non sente il bisogno di essere liberato da quella cappa oscena che toglie dignità alla persona e la tratta solo come pretesto? Chi non sente il bisogno di essere aiutato a vivere stili affettivi che spingono verso un amore che lega, che lega persempre? Che costituisce come una torre che non viene mai giù. nonostante le bufere della vita? Anche oggi, anche questa sera: Dio non abbandona l'uomo. non gli permette di perdersi nel nulla. Non accetta Dio che l'uomo -fatto a sua immagine e somiglianza - si perda nel buio della superficialità. nella notte del non-senso. Non si dà pace Dio: i ragazzi, i giovani di oggi Lui li ha pensati ad uno ad uno, li ha dotati di un cuore e di una intelligenza capaci di amarlo con tutto il cuore e con tutta la vita. Non si dà pace Dio se la nostra gente si accontenta di piccoli orizzonti, di piccoli interessi,di piccol amori,di piccole cose....Dio ha voluto aver bisogno dell'uomo! Per questo si è fatto uomo, nel ventre di Maria. Si è lasciato adagiare su una mangiatoia per dire a chiunque voglia ascoltarlo: "Vengo Io nel tuo mondo; assumo Io la tua umanità: divento Io per te come un bambino, un amico, uno Sposo; percorro con te le strade che tu percorri; mi addosso Io la tua sofferenza e il tuo male. . .per ridarti la bellezza che hai perso con il peccato di Adamo, per accrescerla anzi Infinitamente." Questo è il Mistero del Natale. questo il Mistero del Potere DEL SENZA POTERE.- L'unico annuncio che puo cambiare le cose, perche cambia il cuore. Dio non vuole la nostra resa, vuole la nostra libertà: la libertà di amarlo con tutto ii cuore e con tutta la mente, con tutta l'anima e con tutte le forze. Buon Natale!! (Testo non rivisto dall'autore)

venerdì 10 dicembre 2021

Cinismo e apatia (commento al vangelo di don Luigi Epicoco

“Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”. Questa forma di apatia e di pericoloso cinismo di cui possiamo ammalarci, rende la nostra presenza, ovunque essa sia, un peso . Quando un religioso o una religiosa si ammalano di questa malattia spirituale, rendono la propria comunità un girone di inferno. Quando un figlio assume questo atteggiamento nella propria famiglia, porta i genitori all’esasperazione. Quando un amico in una comitiva si comporta così, rovina sempre la serata a tutti. È un po’ la politica del “come la fai la sbagli sempre!”. Chi non si lascia intercettare in maniera profonda dalle persone o dalle situazione che vive, è destinato a diventare talmente tanto distante da esserne tagliato fuori. La fede è la capacità di saper stare in maniera “sana” dentro le situazioni senza ammalarsi perché si è diventati succubi, e senza distanze perché si è diventati anaffettivi e apatici . Il termine esatto è “ compassione ”, e Gesù una volta lo aveva spiegato così: “ridi con chi ride, e piangi con chi piange”. (don Epicoco) #dalvangelodioggi

BENVENUTA STELLA, STELLINA (Canzone di Roberto Guarneri)

Bellissima canzone di Natale con bei disegni di Cristina Pietta

venerdì 26 novembre 2021

Don Nagle - Mario, il tuo dolore può essere un passo verso la vittoria..("Mario" oggi chiede il suicidio assistito)

IL CRISTIANESIMO DICE QUELLO CHE DIO HA FATTO PER SALVARCI

Ritiro di Avvento 2021 - Comunità di Brescia e Provincia del Movimento Ecclesiale Carmelitano

Don Vincent Nagle : "Salvaci Signore !"

Dammi la possibilità di mettere la vita a posto come la voglio io, gli chiediamo. Poi ci lamentiamo perché Dio non risponde. Noi gli porgiamo la domanda in modo tale da poter avere una vita che non ha più bisogno di essere salvata . Non è questo il rapporto che Dio desidera con noi. Lui è il Salvatore, l’unica cosa che lui desidera è quella che noi non gli chiediamo mai. […] Immagino che nessuno di noi sia mai caduto in ginocchio a gridare: “Salvaci Signore!”? Cosa abbiamo detto invece: “Aiutami, Signore”. Non è un cavillo linguistico, è come l’attraversamento del Mar Rosso. Se io chiedo aiuto, vuol dire che so già quello di cui ho bisogno. Se chiedo salvezza, non pongo condizioni; accetto quello che mi offre chi mi salva . Anche le obiezioni e le fatiche hanno un orizzonte buono se la domanda che ci muove è: “Come mi stai salvando Signore?” Mi stai salvando anche così?”. […] Tutta la tua vita è sotto lo sguardo di Chi è morto per salvarti e ti promette la sua vita. (don Vincent Nagle al Monastero wifi)

Gruppo gite-Fotografie da alcune passeggiate

All'interno delle nostre amicizie è nato un gruppetto che organizza passeggiate o gite nei paraggi di Brescia e Provincia. Gite di qualche ora,così per fare insieme un po di strada tra verde e storia...Due chiacchiere ,due passi..per poter uscire in compagnia. Ecco alcune nostre fotografie..

Don Epicoco - Bellissima meditazione sul Vangelo dell'incontro tra Gesù e Nicodemo

Rinascere dall'alto.....con Gesù

More than conquerors - Bellissima canzone

Traduzione del testo - "More than Conquerors" di Steven Curtis Chapman Ora non c'è condanna, ora non c'è colpa o vergogna Per coloro che sono stati coperti dal sangue di Gesù E ora le parole del nostro accusatore sono state derubate di tutto il loro potere E il nemico è stato sconfitto dal sangue di Gesù Quindi rimaniamo con i nostri cuori perfettamente lavati E alziamo le mani e cantiamo Siamo più che vincitori, siamo più che conquistatori Dio se tu sei per noi, chi può essere contro di noi Siamo più che vincitori, siamo più che conquistatori Dio se tu sei per noi, chi può essere contro di noi Cosa può separarci dal Tuo amore Una volta eravamo schiavi e prigionieri, ora siamo figli del re I figli e le figlie favorite, salvati dal sangue di Gesù Allora dimmi o morte, dov'è la tua vittoria e dimmi o tomba dov'è il tuo morso Sei stata inghiottito nella vita, per sempre dal sangue di Gesù E noi quindi siamo redenti Mentre alziamo i nostri cuori e cantiamo Per il sangue dell'Agnello, per la Parola della nostra testimonianza Il nemico è stato, il nemico sarà sconfitto Siamo più che vincitori, siamo più che conquistatori Dio, se tu sei per noi, chi può essere contro di noi Cosa può separarci dal Tuo amore Dio, se tu sei per noi, chi può essere contro di noi

Casa Luciano a Rodengo Saiano

La Risposta di Gesù -Scuola di Cristianesimo del Movimento Ecclesiale Carmelitano

venerdì 22 ottobre 2021

Padre Pino Puglisi (Ritratti di Santi- padre Antonio Maria Sicari)

https://www.gliscritti.it/approf/2005/papers/sicari01.htm

Padre Agostino Pappalardo o.c.d. sui tempi che viviamo,l'annuncio cristiano e S.Giovanni Paolo II

Ogni giorno ci ritroviamo tutti con tanti, innumerevoli problemi, e di ogni genere (guerre infinite, omicidi, femminicidi… e violenze di ogni tipo, profanazioni senza termine della natura, del creato…, dei beni propri, altrui, furti e tradimenti, corruzioni e irresponsabilità nei confronti degli altri e del vero bene comune, ecc. ecc.) Oggi ho riascoltato (nella Messa mattutina che noi frati di S. Pietro in Castello celebriamo dalle nostre Consorelle Carmelitane di Via Ambadoro) un brano molto interessante dal punto di vista umano, per tutti, da una lettera di un certo Paolo di Tarso, vissuto due mila anni fa e divenuto dirompente per sempre (perché proprio lui che voleva distruggere il Cristianesimo, convinto che fosse una mistificazione, divenne uno dei più convinti assertori della veridicità piena della Persona di Gesù Cristo… e dell’Avvenimento inarrestabile da Lui sgorgato…). Cosa dice in questa lettera (tra l’altro inviata a gente della nostra terra, l’Italia e in particolare Roma)? Ecco la parte che mi ha colpito: “… io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio […]” (Lettera ai Romani, cap.7) Una dinamica, un tipo di guerra, di lotta che prima di tutto allora accade dentro noi umani. E in modo permanente, spesso anche tragico. A me pare che ogni genere di problema in cui ci imbattiamo, provocato dagli altri o che generiamo, provochiamo noi stessi in prima persona, innanzitutto abbia origine, si radichi in tale drammatico contrasto e guerra interiore, descritta da un uomo come Saulo di Tarso un primo tempo convinto, come molti oggi, che si risolvesse il problema con la legge, le leggi…, con delle “osservanze” esteriori. A me pare che moltissime persone, anche tra coloro che detengono i più svariati tipi di potere, o commentano i fatti, la vita… o intendono formare l’opinione pubblica…, ancora oggi non riconoscono questo dramma dentro la propria umanità, dentro il proprio spirito, non considerano che non è stato risolto… Bisogna assolutamente prenderne coscienza. La coscienza che siamo tutti, in tanti modi, dilaniati, divisi, in noi stessi… E quindi abbiamo bisogno urgente di Uno che ci liberi da questa condizione distruttiva, in fondo sempre disumana. Come vorrei far comprendere che l’Avvenimento di Gesù Cristo (che proprio un feroce persecutore come Saulo, vide poi vivo e risorto veramente, e quindi non era per nulla un imbroglione) è offerto a tutte le persone, è per tutti, è necessario, è per questa nostra umanità in bilico. Proprio oggi, 22 ottobre, in molti ricordiamo Giovanni Paolo II. Quest’uomo, anche lui debitore di Paolo, al punto da riportarlo nel proprio nome nuovo, qui a Brescia, il 26 settembre dell’82 (in onore di quell’altro grande uomo, Bresciano, anche lui debitore di quel grande Paolo, a tal punto da assumere il nome, Paolo VI), quando lo incontrammo con molti altri giovani in piazza Duomo, e dall’inizio alla conclusione del suo essere Servo dei servi, anzi in tutta la sua vita, ha cercato di dire a innumerevoli persone, al mondo intero, che ci salviamo se ci apriamo a quell’Uomo sulla croce, tornato vivo per sempre. Che non dobbiamo aver paura di aprirci e riaprirci a Lui. Desidero invitare a liberarci dalla paura, per spalancare questa nostra umanità malata all’Unico che ha dato molti segni e prove che è proprio vivo. E sta aspettando di liberarci… P. Agostino Pappalardo

Nuova Scuola di Cristianesimo 2021 del Movimento ecclesiale carmelitano

https://mec-carmel.org/uncategorized/scuola-di-cristianesimo-media/trascrizioni-scuola-di-cristianesimo/la-nostra-invocazione-signore-io-voglio-vivere/

Padre Antonio Sicari- La Carità

"La filantropia ha di mira il bisogno, la sofferenza. La filantropia dura quanto dura il bisogno altrui, non è eterna. Essa si ferma alla pietà: è un mezzo per alleviare l'indigenza, non è un fine. La carità invece, di per sé, non suppone il bisogno della persona alla quale si rivolge. Se incontra il bisogno, certo, lo solleva. Ma essenzialmente essa ha di mira la dignità e la bellezza sacra dell'altra persona - la sua preziosa appartenenza a Cristo Gesù - a prescindere dalle sue eventuali minorazioni. I Santi "vedono i poveri in Gesù" perché essi hanno imparato a vedere la loro divina dignità...

Un uomo venuto da molto lontano...ed oggi a noi estremamente vicino. S.Giovanni Paolo II

lunedì 26 luglio 2021

11 Festa "Verso l'Altro" di Punto Missione

11° edizione "Festa Verso l'Altro" - Movimento Ecclesiale Carmelitano https://mec-carmel.org/uncategorized/articoli-homeblog/11-edizione-festa-verso-laltro/

Oggi Festa dei Nonni di Gesù (Giacchino ed Anna)

il regno dei cieli è invisibile. Ma il suo essere invisibile non significa che non esiste. Infatti ci accorgiamo che esiste dalle sue conseguenze, dai suoi effetti. Così il granello di senape che è concretamente un piccolissimo seme, può diventare l’origine di un albero affidabile su cui anche gli uccelli possono ripararsi. A un occhio superficiale nessuno darebbe peso e importanza a quel seme, ma poi nei fatti rivela qualcosa di imprevedibile. È così anche per la fede: può sembrare insignificante nei sui gesti, nel suo esserci nella vita di una persona, ma nelle circostanze più avverse si rivela come una presenza affidabile che fa la differenza. Oggi la liturgia ricorda Sant’Anna e San Gioacchino, nonni di Gesù. Sembra che la provvidenza attraverso questo Vangelo ci indichi ad esempio proprio nella marginalità della vecchiaia dei nonni una presenza affidabile che fa la differenza in una famiglia. I nonni infatti, quando funzionano con la loro umanità, riescono a ridimensionare le situazioni, a sostenere, a incoraggiare, a riempire di tenerezza. Il mondo li considera inutili perché giudica sulla produttività o meno delle persone, ma agli occhi di Dio e dell’esistenza concreta delle persone sono più che importanti. Anche nei loro gesti e nel loro esserci si manifesta l’invisibile ma concreta presenza del regno di Dio in mezzo a noi che fermenta come il lievito nella pasta: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito,....

martedì 22 giugno 2021

"La mia carne per la vita del mondo" (padre Fabio Silvestri)

Preghiera a Sacro Cuore di Gesù

Un commento al vangelo di oggi

*“Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci,...* Siamo chiamati ad amare, cioè siamo chiamati a dare cose “sante”, ma non senza criterio ma prendendo sul serio chi abbiamo di fronte perché ciò che conta non è solo dare, ma fare in modo che ciò che si sta dando possa davvero arrivare al cuore delle persone. Non bisogna però dimenticare che agli occhi del mondo chi ama appare sempre come “uno spreco”. I santi infatti, i più delle volte, sono stati percepiti dal mondo come uno “spreco”. Prima di essere ammirati sono stati dileggiati, derisi, compatiti, giudicati, fatti fuori. Per questo il Vangelo ci ricorda che la strada che conduce alla vita è stretta, e bisogna abbassarsi, spogliarsi, farsi piccoli per potervi passare: “ *quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!”.* Si, perché delle volte il problema non è solo entrarvi ma *trovarla* . La fede cristiana non è mai un fenomeno di massa, perché di massa può esserlo solo una performance religiosa, ma *la vera fede solitamente decima le folle e fa emergere solo chi è disposto davvero a credere.* Infatti sotto la croce non c’erano le folle ma solo uno sparuto gruppo di donne, tra cui Maria e un solo discepolo, Giovanni. (don Epicoco) Buona giornata! 👍🙏😘

mercoledì 26 maggio 2021

43°Pellegrinaggio mariano del Movimento Ecclesiale Carmelitano alla Madonna della Neve ad Adro - 24 Maggio 2021 (del mio piccolo gruppo) Video 😁

Quest'anno il pellegrinaggio si è effettuato a piccoli gruppi per evitare assembramenti e garantire distanziamento.. Preghiamo Maria perché l'anno prossimo si ritorni tutti insieme e.. tanti!!!!

venerdì 21 maggio 2021

Franco Battiato, una preghiera

E' stata distribuita da padre Orazio Barbarino, prima del funerale a Milo, una preghiera che
Franco Battiato da anni recitava ogni mattina". Ecco il testo: ”Padre mio, io mi abbandono a Te, fa' di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature: non desidero nient'altro, mio Dio! Rimetto l'anima mia nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo. Per me è un'esigenza di amore, il donarmi a Te, l'affidarmi alle tue mani, senza misura, con infinita fiducia: perché Tu sei mio Padre!” Sia lode, lode all'Inviolato☀️

Vinto da Uno più potente (articolo di padre Agostino Pappalardo)

Per ricostruire un po' di Storia... in parte deformata.. E anche per riconoscere e vivere una gratitudine a Chi ha un Potere misericordioso e sa farsi strada nel cuore e nella intelligenza di alcuni uomini...

martedì 18 maggio 2021

Io ho vinto il mondo (Gesù)

“ *Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo* !”. La pace che Gesù viene a portarci, non è quella emotiva, è la pace che scorre nella parte più profonda di noi, quella parte che si sostiene proprio quando sembra tutto perduto. Non possiamo evitare le tribolazioni che ci vengono dal mondo, ma possiamo continuare ad avere fiducia nonostante le tribolazioni. È questa la grande vittoria della fede, difendere la fiducia in Dio proprio quando tutto ci sembra venire contro e Lui sembra paradossalmente assente. In quella sensazione di assenza e in quella evidenza di sconfitta dobbiamo fare memoria delle parole di Gesù: “ *io ho vinto il mondo!”.* È la memoria di questa vittoria ce ci fa rimanere in piedi anche nelle sconfitte. A noi molte volte manca una visione d’insieme della storia, guardiamo sempre tutto come se il presente fosse l’ultima parola. Un cristiano sa già come finisce la storia ed è per questo che non si scoraggia fino al punto di gettare la spugna. (Don Epicoco) 🙏😘