giovedì 3 luglio 2014

Olalla, storia di una conversione

 di Rino Cammilleri
È stata la sciupasogni degli spagnoli per anni. La vedevano in tv, nelle pubblicità di marchi prestigiosi, era lei la Kellog’s-girl, lei, Olalla Oliveros, fisico da urlo, sorriso-che-porta-via, top model, showgirl, attrice di cinema, teatro e popolarissime sit-com. Guardando le sue foto in internet, anche in lingerie, si resta stupefatti, sia per la bellezza della donna, sia per quel che è successo dopo, proprio quando era in procinto di firmare il contratto per un film. Un viaggio a Fatima ed ecco la decisione di mollare tutto per diventare suora di clausura. Solo nel 2010, col permesso dei superiori, ha raccontato tutto al foglio «El Tiempo». Ed ecco in sintesi: «Il Signore non commette errori. Mi ha chiesto di seguirlo e io non ho rifiutato». Suora di clausura, dunque, nella congregazione di San Michele Arcangelo di Vilariño, in Galizia.
Olalla, prima e dopo la conversioneIl suo «terremoto interiore» -così lo ha definito- le ha fatto comprendere che essere un modello (modella, nel suo caso) ha una pregnanza letterale che comporta un tremendo fardello. «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità» è il motto di Spiderman. E Ratzinger ha spiegato che la fede rivela all’uomo se stesso: uno che ha scoperto la verità di Gesù Cristo scopre anche chi è e che cosa deve fare. Noverim Te, noverim me, conoscessi Te conoscerei anche me, diceva col suo solito stile icastico sant’Agostino. Chi scopre Dio, scopre subito che la sua vita è un compito, non un giocattolo. Quanto gli operatori dello spettacolo abbiano contribuito a diffondere l’irreligione e stili di vita libertini è sotto gli occhi di tutti, tutti i giorni, specialmente da quando lo spettacolo entra nelle nostre case tutti i giorni a tutte le ore e invade tutti gli aspetti dell’esistenza. Siamo nella civiltà dell’immagine, si dice.
Ma qual è questa immagine? Attori, attrici, presentatori e showman sempre belli, allegri e frizzanti, le cui vite private sono un disastro umano. E che, dai rotocalchi, «danno l’esempio» alle masse. Si faccia caso anche a questo: chi muore nei film trapassa sempre in modo stoico, e l’eroe è sempre ateo. La realtà, per fortuna, è diversa, ma il «modello» offerto è un altro. Il caso di Olalla Oliveros ci insegna pure un’altra cosa: chi abbandona il deserto dell’effimero difficilmente sceglie una comunità religiosa di tipo progressista. Chi aveva tutto dalla vita non abbandona tutto per “qualcosa”, ma per il suo esatto contrario. Per questo il caso di suor Olivares è molto differente da quello di suor Scuccia: la prima, dalle luci della ribalta al convento; la seconda ha fatto il cammino opposto (e il Gabibbo l’ha prontamente satireggiata). Quasi tutti i grandi convertiti della storia che hanno condotto una vita burrascosa o scintillante hanno optato per la trappa o per un ordine religioso estremo, il più duro presente al momento, talvolta quello votato alle attività più repellenti. Speriamo che i superiori di suor Olalla, dopo averle ordinato l’outing del 2010 (cosa lodevole, perché di buoni esempi non ce ne sono molti in giro), la lascino alla sua vita di intercessione, lontana da quei riflettori che si è gioiosamente lasciata alle spalle.

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