di Rino Cammilleri
È stata la sciupasogni degli spagnoli per anni.
La vedevano in tv, nelle pubblicità di marchi prestigiosi, era lei la
Kellog’s-girl, lei, Olalla Oliveros, fisico da urlo,
sorriso-che-porta-via, top model, showgirl, attrice di cinema, teatro e
popolarissime sit-com. Guardando le sue foto in internet, anche in
lingerie, si resta stupefatti, sia per la bellezza della donna, sia per
quel che è successo dopo, proprio quando era in procinto di firmare il
contratto per un film. Un viaggio a Fatima ed ecco la decisione di
mollare tutto per diventare suora di clausura. Solo nel 2010, col
permesso dei superiori, ha raccontato tutto al foglio «El Tiempo». Ed
ecco in sintesi: «Il Signore non commette errori. Mi ha chiesto di
seguirlo e io non ho rifiutato». Suora di clausura, dunque, nella
congregazione di San Michele Arcangelo di Vilariño, in Galizia.
Il suo «terremoto interiore» -così lo ha definito-
le ha fatto comprendere che essere un modello (modella, nel suo caso) ha
una pregnanza letterale che comporta un tremendo fardello. «Da grandi
poteri derivano grandi responsabilità» è il motto di Spiderman. E
Ratzinger ha spiegato che la fede rivela all’uomo se stesso: uno che ha
scoperto la verità di Gesù Cristo scopre anche chi è e che cosa deve
fare.
Noverim Te, noverim me, conoscessi Te conoscerei anche me, diceva
col suo solito stile icastico sant’Agostino. Chi scopre Dio, scopre
subito che la sua vita è un compito, non un giocattolo. Quanto gli
operatori dello spettacolo abbiano contribuito a diffondere
l’irreligione e stili di vita libertini è sotto gli occhi di tutti,
tutti i giorni, specialmente da quando lo spettacolo entra nelle nostre
case tutti i giorni a tutte le ore e invade tutti gli aspetti
dell’esistenza. Siamo nella civiltà dell’immagine, si dice.
Ma qual è questa immagine? Attori, attrici,
presentatori e showman sempre belli, allegri e frizzanti, le cui vite
private sono un disastro umano. E che, dai rotocalchi, «danno l’esempio»
alle masse. Si faccia caso anche a questo: chi muore nei film trapassa
sempre in modo stoico, e l’eroe è sempre ateo. La realtà, per fortuna, è
diversa, ma il «modello» offerto è un altro. Il caso di Olalla Oliveros
ci insegna pure un’altra cosa: chi abbandona il deserto dell’effimero
difficilmente sceglie una comunità religiosa di tipo progressista. Chi
aveva tutto dalla vita non abbandona tutto per “qualcosa”, ma per il suo
esatto contrario. Per questo il caso di suor Olivares è molto
differente da quello di suor Scuccia: la prima, dalle luci della ribalta
al convento; la seconda ha fatto il cammino opposto (e il Gabibbo l’ha
prontamente satireggiata). Quasi tutti i grandi convertiti della storia
che hanno condotto una vita burrascosa o scintillante hanno optato per
la trappa o per un ordine religioso estremo, il più duro presente al
momento, talvolta quello votato alle attività più repellenti. Speriamo
che i superiori di suor Olalla, dopo averle ordinato l’outing del 2010
(cosa lodevole, perché di buoni esempi non ce ne sono molti in giro), la
lascino alla sua vita di intercessione, lontana da quei riflettori che
si è gioiosamente lasciata alle spalle.
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