domenica 29 maggio 2011

Il prof.Zamagni al Movimento Ecclesiale Carmelitano a Brescia-intervista

Stefano Zamagni (Rimini, 1943) è un economista italiano, presidente dell'Agenzia per le Onlus.
Si è laureato nel 1966 in Economia e Commercio presso Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dopo aver vinto una borsa di studio per il Collegio Augustinianum
Dal 1985 al 2007 ha insegnato Storia dell'analisi economica alla Bocconi di Milano, mentre negli anni ha lavorato anche per la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, sede di Bologna.
Per l'Università di Bologna ha ricoperto numerosi ruoli, tra cui la presidenza della Facoltà di Economia, impegnandosi negli anni soprattutto negli studi sul mondo del No profit, arrivanto all'attivazione di uno specifico corso di Laurea ("Economia delle Imprese Cooperative e delle Organizzazioni Non Profit")
In quanto consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, fra il 2007 ed il 2009 è tra principali collaboratori di Papa Benedetto XVI per la stesura del testo dell'Enciclica Caritas in veritate

..........alcuni brani   dell'intervista......pubblicata sulla rivista del MEC "Dialoghi Carmelitani"(dialoghi@mec-carmel.org)


In  una  recente  intervista,  rilasciata  ad  “Avvenire”,  lei  afferma  che  quello  presente  è  un momento  di  sfida  per  la  Dottrina  Sociale  della  Chiesa  ed  è  un’occasione  d’oro  per  il  laicato cattolico. Può dirci perchè?
In questo momento sono molti quelli che vanno riscoprendo il fondamento e il valore della Dottrina Sociale della Chiesa, molto più che in passato. Richiamando ancora per un attimo la parabola del figlio prodigo  possiamo  dire  che  quando  ci  si  accorge  non  solo  di  non  avere  più  soldi,  ma  neanche  il  cibo garantito ai maiali (!), a quel punto ci si ravvede dalla follia precedente e si può ritornare sui propri passi. 
Negli anni passati molti economisti si erano impegnati a sbeffeggiare la Dottrina Sociale della Chiesa come un discorso adatto solo a sottosviluppati dal punto di vista culturale; oggi c’è crisi, invece, e una crisi  di  tali  proporzioni  che  molti  si  stanno  ricredendo.  Infatti,  ci  si  accorge  che  o  l’attività  economica tornerà ad essere quello che dovrebbe essere, cioè un’attività finalizzata al bene comune, oppure non ci saranno sbocchi diversi da queste crisi, anche in futuro. Ma perché questo accada è necessaria una svolta culturale decisiva, e cioè il ritorno al matrimonio tra etica ed economia.
In  secondo  luogo,  va  detto  che  la  crisi  è  una  situazione  che  apre  spazi  nuovi  di  impegno  e  di accoglienza per la Dottrina Sociale della Chiesa, che normalmente sono più ristretti, mentre tutto sembra andare bene e mentre tutti sono ubriachi di una spasmodica ricerca del denaro facile. 
Tuttavia, questo implica una responsabilità nuova per la Chiesa e per tutti i soggetti ecclesiali, perché non basta essere convinti del valore della propria dottrina di fede e di quella sociale, ma occorrerà che questa convinzione giunga a delle opere concrete, che incarnino quei valori creduti. E questo non sarà, non è, il campo d’azione di parroci e religiosi, ma è quello privilegiato dei laici cattolici. I laici devono assumersi la loro parte di responsabilità, per mostrare che la Chiesa non è solo una realtà da associare a sacrestie  e  pratiche  di  pietà,  che  pure  conservano  tutto  il  loro  valore,  ma  è  una  realtà  dinamica, espressione di una religione che si fonda sul mistero dell’Incarnazione di Dio. E la traduzione in opere di questa fede può essere paradossalmente più immediata in circostanze di crisi, perché suscitano in tutti un’attenzione diversa.

Un’ultima  domanda:  nella  nostra  esperienza  ecclesiale,  quella  del  Movimento  Ecclesiale Carmelitano, abbiamo riflettuto a lungo sulle dimensioni del dono e della comunione; queste nozioni hanno anche una rilevanza economica?

Sì,  perché  già  all’inizio,  cioè  circa  700  anni  fa,  quando  nacque  l’economia  di  mercato  –  e  non  va dimenticato  che  essa  nacque  per  impulso  del  movimento  francescano,  che  può  essere  considerato  il primo  grande  costruttore  dell’economia  moderna!  –  tra  gli  obiettivi  principali  c’era  quello  di  dare concretezza al principio del dono. La finanza di allora (si pensi ai “Monti di pietà”) doveva creare lavoro, sviluppo, ma anche assolvere a finalità caritative. Si capiva, infatti, che il dono non poteva essere limitato solo  alla  sfera  dei  rapporti  familiari  o  della  vita  associata,  ma  bisognava  che  entrasse  anche  nella dimensione socio-economica. Ed in effetti, quando l’economia smarrisce il riferimento a questo principio, poi le sue dinamiche tendono a degenerare, come sta accadendo nella crisi attuale.
Ma cosa significa applicare all’economia il principio del dono? Significa parlare della sua traduzione
pratica, cioè del principio pratico della reciprocità. Nella sfera economica del mercato, infatti, accanto al principio  di  equivalenza  nello  scambio,  che  tutti  conoscono  benissimo  (cioè  uno  scambio  di  beni  di equivalente valore) c’è spazio per l’applicazione di una reciprocità economica: c’è spazio, cioè, per quelle forme di azione economica – e sottolineo economica – per le quali lo scopo consiste nella soddisfazione di bisogni  autenticamente  umani  di  tipo  relazionale.  Sono  queste  le  forme  d’azione  economica  che caratterizzano l’operare delle banche etiche, del microcredito, di un’economia di comunione (come quella pensata  dal  Movimento  dei  Focolari),  del  commercio  equo-solidale  (che,  ricordiamolo,  nacque  per iniziativa di un sacerdote messicano circa 30 anni fa), di cooperative sociali di vario genere.
Queste  forme  d’azione  economica,  già  operanti  nella  nostra  economia  di  mercato,  hanno  come caratteristica  comune  quella  di  non  avere  come  fine  la  massimizzazione  del  profitto/guadagno,  ma  il soddisfacimento  di  bisogni  umani  relazionali,  per  soddisfare  i  quali  occorre  applicare  il  principio  di reciprocità. Dono e comunione allora, oggi più che nel passato - e in particolare a fronte della crisi attuale - si mostrano come due categorie di assoluto valore, per un modo giusto, completo e umano di gestire le risorse economiche. Una società che eliminasse il dono dal proprio orizzonte, culturale e pratico, sarebbe una società senza futuro.

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