domenica 1 novembre 2015

Il vero Sinodo? Quello di Luigi e Zelia Martin (di Riccardo Cascioli)


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Luigi e Zelia Martin
«Mamma ha vissuto la Speranza cristiana: questa speranza era veramente il clima di famiglia. In casa non si sentiva parlare che della vita eterna, non c’era che questa che contasse. Nell’educazione dei suoi figli, la sua preoccupazione dominante era il Cielo e il distacco dalle cose della terra: ella ce ne parlava sempre».

«Un mese dopo l’entrata al Carmelo di Teresa, nel maggio 1888, alla grata del parlatorio papà disse: “Figlie mie, ritorno ora da Alencon dove ho ricevuto nella chiesa di Notre-Dame, tali grandi grazie e consolazioni che ho fatto questa preghiera: ‘Mio Dio è troppo!... Sì, sono troppo felice, non si può andare in cielo così. Voglio soffrire qualcosa per voi… E mi sono offerto…”. La parola Vittima morì sulle labbra. Non osò pronunciarla davanti a noi, ma noi abbiamo compreso».
Questo è come Celina, sorella di santa Teresina e una delle cinque figlie suore, ricorda i suoi genitori Luigi e Zelia Martin, i primi coniugi santi, canonizzati da papa Francesco lo scorso 18 ottobre, nel mezzo del Sinodo sulla famiglia. Due brevi passaggi, ma che possono dare l’idea di che cosa sia una famiglia cattolica. Non un ideale astratto, ma una fede vissuta quotidianamente tra gioie e sofferenze grandi, con un amore reciproco che riflette l’Amore di Dio. Una famiglia in cui si impara che l’unica cosa che conta davvero è camminare verso la santità.

È questa la bellezza che attira le persone. Dovunque l’urna con le reliquie dei coniugi Martin faccia sosta (Roma, Lisieux, ieri a Monza, oggi a Como) il popolo accorre numeroso e desideroso: per pregarli, per imparare a vivere così, per condividere per qualche momento quell’esperienza di Cielo, di eternità, che tutti noi – consapevoli o no – desideriamo: per noi stessi e per le nostre famiglie così imperfette.

È la bellezza della famiglia cristiana di cui il mondo, tutto il mondo, ha bisogno e che al mondo avremmo desiderato mostrare in questi due anni di Sinodo continuo sulla famiglia. Se è vero – come ha ricordato papa Francesco facendo eco ai suoi predecessori – che sulla famiglia si gioca il futuro del mondo e se è vero che mai come oggi la famiglia è minacciata, questa della santità è la risposta più adeguata, quella che va alla radice del problema.

Invece, bisogna riconoscere che la percezione comune – mondiale - dopo questa maratona sinodale è di una Chiesa cattolica sostanzialmente avvitata sulla comunione ai divorziati risposati. È vero, l’immagine non è completamente corretta, perché la Relatio finale contiene molti punti dedicati alla riproposizione dei fondamenti di una famiglia – uomo e donna sposati in un matrimonio indissolubile e aperti alla vita – ma la responsabilità non è tutta dei media, è in buona parte dei portavoce del Sinodo che di giorno in giorno si sono alternati per la conferenza stampa quotidiana, e che hanno corroborato questa immagine.

Ad ogni modo ciò che è passato nell’opinione pubblica – piaccia o meno - non è una proposta concreta, una luce a cui guardare per illuminare il cammino di famiglie ordinarie, di coppie in difficoltà, di uomini e donne che devono fare i conti con i cocci che sono l’unica cosa che resta del loro matrimonio, di giovani che vivono in culture che esigono forme disumane di rapporto. No, è stata trasmessa invece l’immagine di una Chiesa che cede alla logica del mondo, che ragiona come il mondo: comunione ai divorziati risposati sì o no? Unioni gay sì o no? Coppie di fatto buone oppure no? 

Non una Chiesa più che mai decisa a indicare la strada della santità, unica risposta adeguata alle attese del mondo e valida in ogni circostanza, soprattutto le più dolorose; ma una Chiesa preoccupata di mettere a posto le coscienze delle persone, anche quando è la coscienza stessa a gridare l’inadeguatezza della risposta.
Non una Chiesa che costringe a guardare in alto, ma che invece si preoccupa essenzialmente di risolvere i problemi.

Questa è una Chiesa che interessa ai media, perché parla la loro lingua, la lingua di un potere a cui è rimasta solo la Chiesa cattolica da omologare; basta guardare l’entusiasmo con cui i giornaloni laicisti stanno accompagnando e tifando per una presunta rivoluzione, per «la nuova Chiesa» come l’ha definita un padre sinodale (e non parliamo della sguaiatezza di certi vaticanisti ben accreditati, clicca qui). Ma è una Chiesa che interessa molto meno al popolo, che invece accorre assetato laddove passano le spoglie dei coniugi Martin.

Se questo è il punto, passa in secondo piano anche la disputa sulle interpretazioni della Relatio finale del Sinodo (probabilmente alla fine ognuno farà come vuole); anche l’ennesima vergognosa manipolazione con i giornaloni di cui sopra, che annunciano festosi la comunione per i divorziati risposati anche se di comunione in tutta la Relatio non si parla affatto; anche la constatazione di una profonda divisione nella Chiesa; anche l’attesa per le decisioni del Papa.
Diversi vescovi si sono sforzati di raccontare quanto è stata bella l’esperienza del Sinodo, e non lo mettiamo in dubbio. 
Ma il popolo cristiano, confuso dai suoi pastori, fa affidamento sulle coppie già beatificate e sui santi Luigi e Zelia Martin, la cui canonizzazione – evento extrasinodale - si dimostrerà il punto più alto del Sinodo.

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