Questa lettera di Padre Aldo mi ha colpito veramente perchè è la nostra Scuola di Cristianesimo incarnata nella vita....La Passione di Cristo unita alla sofferenza di ogni uomo dalla mano amorevole di un "samaritano" ......Walter
«Perché devo soffrire tanto Signore?» domandava santa Teresa d’Avila a Gesù in un momento di grande sofferenza. Ed il Signore rispose: «Perché ti amo molto Teresa». La Santa, che non ha perso mai l’ironia neanche nei momenti più drammatici della sua vita, gli rispose con estrema sincerità: «Oh Gesù mio, allora preferirei che Tu mi amassi un po’ di meno». Ho ascoltato queste parole una settimana fa quando, dopo essere atterrato all’aeroporto di Malpensa, a Milano, sono andato come di consueto nel paese di Trivolzio dove si trova il santuario con il corpo di san Riccardo Pampuri, per confessarmi. Avevo sentito parlare di tanti aspetti della santa d’Avila, delle sue penitenze, della sua contemplazione e del suo misticismo, della sua attività instancabile, ma mai del suo rapporto umoristico con Gesù. Mi ha fatto molto bene, perché è splendido scoprire che i santi sono uomini e donne come noi, con gli stessi drammi, con le stesse problematiche, con la stessa stanchezza quando il dolore colpisce profondamente. È bello osservarli nella loro vita quotidiana e scoprire che soffrono ciò che soffriamo tutti, che chiedono al Signore che gli venga allontanato il dolore e che, a volte, arrivano perfino a lamentarsi. Ciò vuol dire che sono umani, non sono eroi, parola che si oppone al sostantivo santo. L’eroe è un fantasma, un’illusione, una menzogna, mentre il santo è l’uomo reale, l’uomo che vive tra le vicissitudini di questo mondo con lo sguardo fisso là, dove c’è la vera gioia, come recita una colletta della Messa. Il santo, ha detto Giovanni Paolo II parlando di san Benedetto, è «l’uomo che vive l’eroico come quotidiano ed il quotidiano come eroico». E questo coincide con la casalinga, con l’impiegata, con lo spazzino, con il malato, con il professore, con il bottegaio, con qualsiasi persona che viva intensamente il reale. Cioè la santità è possibile in qualsiasi stato o condizione della vita in cui l’uomo è chiamato a vivere.
Mi ha commosso anche Cynthia, una ragazza molto giovane madre di due
bambini, morta recentemente di Aids, o Bernardino, morto anche lui da
poco per la stessa causa. Entrambi si sono preparati serenamente
all’incontro con Cristo, quasi come un innamorato aspetta la sua
fidanzata. Senza un lamento, ma con un’ironia fino alla fine:
«Bernardino, sei ancora vivo?», gli chiedevo scherzando ogni volta che
lo andavo a trovare e lui rispondeva: «Sì padre, sono ancora vivo» e
dopo faceva il segno della croce. La sua vita era stata un inferno.
Quando è arrivato in clinica le sue parti intime erano in pessime
condizioni. Ricordo che una notte la dottoressa responsabile del reparto
di malati di Aids mi chiamò, mentre stava accudendo Bernardino, e mi
impressionò come gli stesse pulendo le parti intime che avevano
cominciato un processo di decomposizione. Le chiesi: “Dottoressa, non le
provoca nausea quello che sta facendo?” e lei mi rispose: “Padre, sto
curando il corpo di Cristo”.Cynthia quando è arrivata in clinica per morire, pesava soltanto 30 kg ed era cosciente del suo imminente incontro con Gesù. Per questo lo ha atteso, assistita da sua mamma, offrendo e pregando per tutti. Per lei il suo letto coincideva con l’altare su cui celebro la Messa, entrambi erano il luogo del sacrificio. Leggendo queste testimonianze uno può pensare: come è possibile che nella tua clinica tutto sia bello e positivo? Oppure: come uno può non esserlo, sapendo che il direttore generale è il Santissimo Sacramento e che la presenza di Cristo è più evidente del sole in una bellissima giornata senza nuvole?
La positività non è l’assenza di drammaticità, non è l’eliminazione del dolore, non è la censura delle terribili malattie dei pazienti o l’eliminazione dei gemiti causati dai dolori che provoca il cancro, ma è proprio il contrario. Tutto questo esiste, come esistono tutti i mezzi che la scienza ci offre per calmare o ridurre il dolore. Ma quando la vita di una persona è afferrata dal Mistero, attraverso la grazia di un incontro vivo, presente ogni giorno, in lei tutto acquista una positività. Il valore positivo di chi riconosce che il motivo per il quale si nasce, si vive, si soffre e si muore è la gloria umana di Cristo, la positività del dolore di Cristo. Senza di Lui perfino la cosa più bella del mondo perde senso, valore, ragione d’esistere. Quando San Paolo afferma: «Tutto posso in colui che mi dà la forza», vuole provocarci affinché possiamo sperimentare questa verità. Non vengono tolte le difficoltà, i dolori, le sofferenze, ma niente di questo impedisce di poter vivere tutto con una gioia piena di pace, di umanità, fino ad arrivare alla familiarità che Santa Teresa d’Avila aveva con Gesù. L’essere cristiano non è come una droga, un analgesico o la morfina per calmare il dolore della vita o per scappare dalla realtà, ma è un fatto che ci permette di dare senso alla vita in tutti i suoi aspetti e dentro ogni circostanza, anche nelle più dolorose. L’esperienza cristiana non toglie il dolore, ma gli attribuisce un senso.
paldo.trento@gmail.com
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