mercoledì 22 giugno 2011

GHANDI E LE SUE IDEE CONTRO LA POVERTA' E PER LA PACE

Ghandi : ridurre i bisogni e cercare di essere autosufficienti per ridare dignità al lavoro


Una idea molto importante per Gandhi è quella della povertà volontaria (aparigraha). Per Gandhi è possibile realizzare la giustizia e l’uguaglianza nella società solo se si rinuncia volontariamente a ciò che non è indispensabile. Nel mondo esistono risorse sufficienti per sfamare e far sopravvivere tutti. Queste risorse tuttavia diventano insufficienti, se alcuni vogliono troppo. Dove ci sono alcuni ricchissimi, che vivono in abitazioni lussuose e mangiano in grande abbondanza cibi prelibati, devono esservi anche necessariamente altri che sono poverissimi, vivono in tuguri e non hanno di che mangiare. Naturalmente il discorso è valido anche (e soprattutto) su scala planetaria: alla ricchezza di alcuni paesi (come l’Italia) corrisponde sempre la povertà di altri.
Ascoltiamo Gandhi:
La perfetta realizzazione dell’ideale di non possesso richiede che l’uomo debba, come gli uccelli, non avere un tetto sopra la testa, nessun abito e nessuna riserva di cibo per l’indomani. Avrà certo bisogno del suo pane quotidiano, ma procurarlo sarà compito di Dio, e non suo. Solo un esiguo numero di persone, se mai ce ne fosse, può raggiungere questo ideale. Ma noi comuni ricercatori non dobbiamo sentirci respinti dalla sua apparente impossibilità. Dobbiamo invece tenere questo ideale costantemente davanti a noi, e alla sua luce esaminare criticamente le cose in nostro possesso e cercare di ridurle. La civilizzazione, nel senso reale del termine, consiste non nella moltiplicazione, ma nella intenzionale e volontaria riduzione dei bisogni. Solo questo porta alla vera felicità e appagamento, e accresce la capacità di servizio” (Lettera a Narandas Gandhi dal carcere di Yeravda, 29 agosto 1030.)
Vi sono dunque, per Gandhi, due cose:
  • La realizzazione piena dell’ideale di non possesso, che è possibile solo a pochi uomini straordinari. Francesco d’Assisi era uno di questi, ma lo stesso Gandhi visse-senza-possedere-praticamente-nulla.
    - La realizzazione parziale dell’ideale, adatta a tutti. Noi non siamo Francesco d’Assisi né Gandhi, ma possiamo ragionare sulle cose che possediamo o acquistiamo e chiederci se sono realmente necessarie, e quale è il loro costo umano-per-i-poveri.
    Ciò è in netto contrasto con un messaggio che riceviamo mille volte al giorno: che bisogna acquistare, acquistare il più possibile. Tempo fa lo Stato trasmise anche una pubblicità, nella quale invitava ad acquistare per far “girare l’economia”. Voi che ne pensate? E’ meglio acquistare il più possibile, o è più ragionevole limitarsi a soddisfare i bisogni essenziali?
Altra-idea-di-Ghandi: Lo-Swadeshi- L'alternativa alla globalizzazione.


Swadeshi significa autosufficienza, autonomia economica dei villaggi.
E’ l’opposto del concetto di globalizzazione dell’economia e proprio per questo ne rappresenta l’alternativa :
Secondo il principio swadeshi, tutto ciò che viene prodotto  nel villaggio deve essere usato  soprattutto dai membri del villaggio.  Il commercio fra villaggi o quello fra  villaggio e città dovrebbe essere minimo, quasi un’eccezione. Swadeshi evita la dipendenza economica da mercati  esterni poichè essa potrebbe rendere vulnerabile la comunità villaggio. Il villaggio deve costruire una solida base economica per soddisfare la maggior
parte dei suoi bisogni e tutti i membri della comunità-villaggio dovrebbero dare la priorità alle merci e ai servizi locali. Ogni comunità-villaggio dell’India libera dovrebbe essere un microcosmo dell’India,  una rete di comunità liberamente interconnesse. 
 La comunità villaggio dovrebbe essere l’espressione dello spirito familiare, un’estensione della famiglia piuttosto che una collezione di individui in competizione fra loro.  Il sogno di Gandhi non era quello dell’autosufficienza  individuale e neanche dell’autosufficienza familiare ma dell’ autosufficienza della comunità villaggio.
I britannici credevano in metodi di produzione centralizzati, industrializzati e meccanizzati.  Gandhi rovesciò questi principi e intravvide modi di produzione decentralizzati, domestici, artigianali.  Disse: “Non produzione di massa ma produzione delle masse”.
Adottando il principio di produzione delle masse, le comunità villaggio sarebbero state in grado di restituire dignità al lavoro fatto con le mani.  Vi è un valore intrinseco in ciò che viene fatto con le proprie mani; consegnando il lavoro alle macchine perdiamo non solo i benefici materiali ma anche quelli  spirituali, poichè il lavoro manuale porta con sè meditazione e soddisfazione personale.
La produzione di massa si interessa solo del prodotto, mentre la produzione delle masse si interessa del prodotto, dei produttori e del processo. La forza trainante dietro la produzione di massa è il culto dell’individuo.
Quale può essere il desiderio dell’ espansione dell’economia su scala globale, se non il desiderio per il profitto personale e corporativo?
Al contrario un’economia su base locale promuove lo spirito, le relazioni e il benessere comunitario: tale economia incoraggia l’aiuto reciproco.  I membri del villaggio si prendono cura di se stessi, delle famiglie, dei vicini, degli  animali, delle terre, delle foreste e di tutte le risorse naturali per il beneficio delle generazioni presenti e future. La produzione di massa porta le persone a lasciare i villaggi, le terre, i loro mestieri, le fattorie, per andare a lavorare nelle fabbriche.  Invece di esseri umani con una dignità in una comunità che si autostima, la gente diventa un ingranaggio della macchina, davanti ad una catena di montaggio, vivendo nei ghetti delle  città, dipendendo dalla pietà dei padroni.
Un numero sempre più esiguo di persone sono richieste nella produzione, poichè gli industriali vogliono una produttività sempre più alta .  I padroni dell’economia monetaria vogliono macchine sempre più efficienti e veloci e il risultato sarà che uomini e donne resteranno disoccupati e considerati scarti della società. Una tale società genera milioni di persone senza radici e lavoro che dipendono dallo stato o che praticano l’accattonaggio.
 Non ci può essere vera pace nel mondo se guardiamo gli altri paesi come fonte di materie prime o come mercati per i prodotti finiti dell’industria.  Il seme della guerra viene seminato dall’avidità economica. “C’è abbastanza per soddisfare i bisogni di ognuno ma non abbastanza per l’avidità di ognuno” disse Gandhi.

UN CONFLITTO ARMATO TRA NAZIONI CI RIEMPIE D'ORRORE.
MA LA GUERRA ECONOMICA NON E' MIGLIORE DI UN CONFLITTO ARMATO.
QUEST'ULTIMO E' COME UN'OPERAZIONE CHIRURGICA;
LA GUERRA ECONOMICA E' UNA TORTURA PROLUNGATA.
E LA DEVASTAZIONE NON E' MENO TERRIBILE DI QUELLA DESCRITTA NELLA LETTERATURA SULLA GUERRA PROPRIAMENTE DETTA.
OGNI MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA E' GIUSTO.
PREGO PERCHE' ABBIA SUCCESSO.
MA NON POSSO EVITARE IL LANCINANTE TERRORE CHE QUEL MOVIMENTO FALLIRA' NEL SUO INTENTO SE NON ARRIVERA' A TOCCARE LA RADICE DI TUTTI I MALI : L'AVIDITA' UMANA. “ (GHANDI-1926)


Amici.....cosa sono servite le ultime guerre? ..è stata veramente una lotta contro la povertà e il terrorismo, per la democrazia e la libertà ?
O forse (penso direbbe Ghandi)  sono arrivate soprattutto  a fare tabula rasa di alcuni stati per installare in essi una nuova struttura economica, magari pilotata dalle multinazionali e dai capitalisti di conquista del libero mercato, che si ritengono i veri architetti della libertà ?......
Voi cosa ne pensate?

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