di Francesco Olivo
 Quando concesse un prestito di 27 dollari alle  donne di un villaggio del Bangladesh, il professor Yunus capì che quello  era un modello economico per far uscire milioni di persone dalla  povertà. Lo presero per matto. Poi, dopo molti anni, ha vinto il premio  Nobel per la pace e il microcredito è diventato una realtà in ogni  angolo del mondo. La sua Grameen Bank fornisce piccoli prestiti che  risvegliano lo spirito imprenditoriale anche nei mendicanti. Muhammad  Yunus, bengalese di origine, 68 anni, economista e banchiere, è a Roma  per presentare il suo libro Un mondo senza povertà (Feltrinelli, 237 pagine, 15 euro) e per ricevere la laurea honoris causa della facoltà di Scienze politiche della Sapienza.
Professore, in genere quelli che hanno teorizzato un’umanità liberata dalla povertà hanno sbagliato ricetta e previsioni...
«Io non sostengo soluzioni ideologiche. Siamo abituati a pensare che,  quando un individuo crea qualcosa, ne debba poi beneficiare  economicamente. C’è un’altra via, però: quello che produco può essere  messo a disposizione per la realizzazione di obiettivi sociali e non di  profitti. Il microcredito è un sistema concreto basato sulla fiducia  delle persone. La Grameen non ha neanche un avvocato, né un esattore».
Cosa distingue la Grameen dalle banche tradizionali?
«Gli istituti tradizionali prestano soldi a chi già ne ha. Il microcredito ribalta questa pratica: diamo prestiti ai poveri».
Ma cosa vi garantisce che i soldi vengano restituiti?
«L’unica garanzia è la fiducia. Chi ha avuto un prestito sa che, se  restituisce i soldi in tempo, potrà accedere ad altro credito. E’ un  sistema virtuoso che funziona praticamente sempre».
Ci sono Paesi che stanno uscendo dalla povertà grazie a queste esperienze?
«In Bangladesh l’80% dei poveri è entrato nei programmi del  microcredito, ogni villaggio è stato raggiunto. La sfida è arrivare al  100%: in questo modo non solo si migliora l’esistenza delle persone, ma  si stimola l’economia del Paese».
Il microcredito si può affiancare allo Stato nei Paesi in cui esiste il Welfare?
«Lo Stato sociale garantisce la sopravvivenza, il microcredito fa uscire  le persone dalla povertà. Il Welfare ti aiuta, ma ti tiene fermo dove  sei. Lo Stato deve garantire l’assistenza, ma poi deve proporre  un’alternativa, dicendo al cittadino: vuoi in regalo 200 euro o ne vuoi 2  mila in prestito per crearti un futuro? All’inizio saranno pochi quelli  che rischieranno, ma il loro successo sarà un buon esempio. Lo Stato  non deve operare come una banca, ma deve promuovere il business  sociale».
Perché i prestiti della Grameen vanno quasi esclusivamente alle donne?
«Perché le donne gestiscono meglio i soldi. I figli e tutta la  famiglia ne beneficiano. Se un uomo viene a chiedere un prestito, noi  gli diciamo “fai venire tua moglie e vedrai che la pratica si risolve  prima”. Funziona così». 
Proponendo questo modello di credito alternativo, ha trovato nemici?
«I primi nemici sono stati gli integralisti religiosi ostili al  fatto che concedessimo il credito alle donne. I politici, invece, ci  dicevano che queste erano questioni loro e non degli economisti. La  destra era contraria perché ci rivolgevamo ai poveri, la sinistra perché  siamo capitalisti e non rivoluzionari». 
E i banchieri? Parlate linguaggi molto diversi...
«Mi ascoltano con attenzione, in qualche modo mi apprezzano. Poi, però,  si ritengono incapaci di applicare il modello che propongo».
Si può ipotizzare una data entro la quale la povertà verrà sconfitta?
«Non è facile, ma è utile. Se fissiamo una scadenza, per esempio il  2030, allora ci possiamo impegnare concretamente per rispettarla. Se  restiamo vaghi, allora il problema non si risolverà mai».
La povertà è in crescita o diminuisce?
«In generale è in diminuzione. In particolare in Cina, India, Vietnam,  Bangladesh e Indonesia, ci sono grandi progressi. Il problema è  l’Africa, anche lì il microcredito può fare molto ma è presente solo in  piccole realtà».
Rispetto a quando ha cominciato, la situazione è migliore o peggiore?
«Non vedo più la rassegnazione che esisteva un tempo. C’è più speranza  che la propria condizione possa migliorare. La sfida maggiore era  cambiare la mentalità e questo è uno scopo raggiunto». 
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